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Chianciano 10-12 settembre, un laboratorio delle idee

postato il 7 Settembre 2010

Stati Generali dell'UDC di BosphoreionIl primo laboratorio delle Idee organizzato dall’Udc che si terrà a Chianciano dal 10 al 12 settembre è ormai alle porte. Qualche settimana fa, proprio su questo sito, scrissi che l’Estate che abbiamo vissuto è stata l’Estate dei “Moderati”, di un vasto e composito schieramento di uomini decisi a cambiare lo stato delle cose: uomini liberi, forti delle proprie idee e decisi a cambiare una situazione politica che appare sempre più ingessata.

L’UDC si incontrerà per fare il punto della situazione, lo farà nella stessa location degli ultimi anni, a Chianciano, dove, per la prima volta dall’avvento del “bipartitismo forzato”, tre leader di aree politiche differenti (ma culturalmente e politicamente affini) si incontrarono e discussero liberamente. Già allora si scatenarono le dietrologie e si cominciò a sussurrare, in modo sempre più forte e convinto, di un incontro possibile tra l’Udc e i moderati di PD e PDL che fanno capo a Rutelli e Fini. Dopo un anno quei sussurri si sono trasformati in realtà: la ormai famosa “area di responsabilità nazionale” si è consolidata in Parlamento. Certo, la pazienza è d’obbligo: affrettare il compimento di questo delicato passaggio politico potrebbe essere un errore madornale, anche perché, non dimentichiamolo mai, gestendo la situazione con modalità errate, si rischierebbe solo di dar vita a una mera e sterile manovra di palazzo, senza possibilità concrete di poter attecchire tra la gente. Ed è proprio per questo che quest’anno l’Udc ha scelto di non organizzare una canonica festa annuale di Partito: Chianciano sarà l’occasione di confronto aperto e libero tra i quadri dirigenti del Partito e la gente comune, in nome di un’idea diversa dell’Italia. Un rapporto alla pari tra chi ha il dovere di offrire una nuova possibilità e chi ha invece il diritto di poter finalmente supportare una proposta politica che lo rappresenti in pieno: fuori dalla vecchia logica dell’eterna contrapposizione e dentro quella nuova della “responsabilità nazionale”. Ecco il senso di un “laboratorio delle idee”: con l’ausilio di grandi personalità, di intellettuali, di uomini dell’imprenditoria.

I lavori veri e propri saranno preceduti da una giornata (quella del 9) dedicata interamente alla formazione politica giovanile; si discuterà di Comunicazione politica, del rapporto che intercorre tra la legalità e la selezione della classe dirigente, di come agirà il Federalismo sulla tenuta sociale del nostro Paese e delle varie possibilità di riforma elettorale. Non a caso, il titolo (e tema conduttore) della giornata sarà “Un ponte sul Futuro”.

Arriviamo all’apertura della tre giorni, il 10 settembre: i lavori saranno introdotti dal segretario nazionale dell’Udc, On. Lorenzo Cesa e dal Coordinatore Regionale della Toscana, Lorenzo Zirri, e continueranno con una “radiografia” del traumatico passaggio dalla Prima Repubblica al Bipartitismo fallito. L’analisi sarà strutturata (nel tentativo di renderla più completa) in due parti: una all’insegna di grandi intellettuali del calibro del prof. Ernesto Galli della Loggia, editorialista del Corriere della Sera, o del prof. Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio; e una seconda, invece, più “politica”, che vedrà confrontarsi l’europarlamentare dell’Udc, Ciriaco De Mita, il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, e i presidenti dei gruppi parlamentari di Pd e Pdl, Dario Franceschini e Fabrizio Chicchitto, il tutto coordinato dal presidente della Costituente di Centro, Savino Pezzotta. Da segnalare, inoltre, sempre nella stessa giornata, la presenza del Presidente del Senato, Renato Schifani.

La seconda giornata, invece, sarà un momento per ribadire che lo scopo principale che si pone il nuovo Partito deve essere quello di salvaguardare il Bene Comune della nostra Nazione. da qui le due sessioni di intervento: “Al Centro la responsabilità nazionale”. Come per il primo giorno, il sabato mattina sarà un momento di confronto tra personalità “istituzionali”: Raffaele Bonanni, leader della CISL, Michele Ainis, Ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università di Roma Tre, e Piero Grasso, Procuratore nazionale Antimafia. Alle 16,30 interverrà il Sen. Francesco Rutelli, leader dell’Alleanza per l’Italia, mentre alle 17, coordinati dal presidente Rocco Buttiglione, il confronto fra i “politici”: Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia, Giuseppe Pisanu, Presidente della Commissione Antimafia, Massimo Cacciari, Filosofo e già sindaco di Venezia, Italo Bocchino, capogruppo di Futuro e Libertà alla Camera, e Gianpiero D’Alia, presidente del gruppo UDC-SVP-Autonomie al Senato. La giornata si concluderà allegramente con una “Festa in piazza” organizzata dall’Udc Toscana.

Domenica, infine, alle 9,30 si terrà la Santa Messa celebrata da Don Marco Malizia; alle 10,30 sarà del dibattito su “Un Partito Nuovo per la Nazione”; e alle 11,15 il direttore del TG di La7, Enrico Mentana, intervisterà il leader dell’Unione di Centro Pieferdinando Casini.

Come vedete, amici, il programma è denso e vale davvero la pena di essere vissuto pienamente. Però, perché i tre giorni di Chianciano siano un’occasione di rilancio vero e non l’ennesima (e inutile) kermesse di partito c’è bisogno di un ingrediente fondamentale: voi. Perché è con voi, con gli Italiani tutti, che occorre scrivere il nostro futuro. Un futuro migliore.

Giuseppe Portonera

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I bambini? Per la Lega non sono tutti uguali

postato il 7 Settembre 2010

Con l’arroganza tipica di chi si sente vincitore e si sente potente, senza magari esserlo, la Lega inaugura il nuovo corso dei contributi alla famiglia, sommando ad un concetto positivo (l’aiuto alla famiglia), un concetto negativo, attuando una distinzione tra bambini “di razza italica” e bambini che non lo sono.
Ma andiamo con ordine.
Il Comune di Tradate (Varese) un paio di anni addietro, istituisce il cosiddetto “bonus bebè”, 500 euro per ogni bambino nato , con lo scopo dichiarato e condivisibile di incentivare le nascite e aiutare le famiglie.
Sembra una iniziativa bella, pura e lodevole.
Ma non è così, infatti andando a leggere i criteri di assegnazione si legge che il bonus è destinato solo a coppie dove i genitori sono cittadini italiani di nascita, escludendo le coppie miste e quelle straniere. Lo scorso 3 giugno il Tribunale di Milano, interessato della vicenda da un ricorso presentato dall’ACLI, emette una sentenza secondo la quale “i criteri di assegnazione del bonus bebè sono discriminatori” è ordina al comune di Tradate di correggere l’ordinanza.
Ed ecco il cambio di rotta della Lega. Prima avrebbe parlato di un fraintendimento, ma ora no.
Anzi, con decisa arroganza, il sindaco di Tradate (Lega -PDL, Stefano Candiani, afferma con una nota mezzo stampa che “il comune di Tradate rivendica il criterio di assegnazione in quanto il bonus bebè non si configura come un intervento rientrante fra i servizi sociali assistenziali obbligatori ma appartiene alla categoria degli incentivi collocata in ambito concettuale e giuridico tutt’affatto diverso ed altro rispetto ai servizi sociali obbligatori”.
Pensate che abbiamo toccato il fondo? Ma quando mai. Qui si riscrivono pagine di storia e di genetica. Qui si riesuma Goebbels, Hitler e quant’altri. Sono esagerato? Forse, ma giudicate voi.
Il sindaco Candiani, presenta ricorso alla sentenza del Tribunale di Milano, ricorso che verrà discusso la prossima settimana.
Quale è la motivazione di questo ricorso? Reggetevi forte e ricordatevi quanto ho detto su Goebbels e soci: secondo il comune di Tradate, il “bonus bebè” sarebbe stato istituito per “la salvaguardia del ceppo europeo”. Infatti, e cito testualmente: “Il fine perseguito non è nel modo più assoluto di garantire sostegno a un bisogno. Il fatto è che la popolazione europea mostra un forte tasso di calo demografico. E’ del tutto ovvio che alla morte dei popoli si accompagna la morte delle rispettive culture. Il bonus attiene al futuro della cultura europea indissolubilmente legata ai popoli dell’Europa medesima”.
Ancora più divertente, il manifesto che accompagna questa iniziativa, rappresentato da un bel bambino biondo e dalla carnagione lattea, ovvero per i leghisti il ceppo europeo è rappresentato solo da chi è biondo, con carnagione chiara, mentre tutti gli altri, evidentemente non lo sono.
Per i leghisti gli immigrati vanno bene se lavorano e li fanno arricchire, ma poi non devono avanzare neanche le più elementari pretese. Il sogno leghista sarebbe immigrati che lavorano e poi spariscono, diventando invisibili. Se poi non figliano, sarebbe anche meglio.
E qui, darei un premio per la faccia tosta e l’astuzia.
Astuzia perché, per giustificare un provvedimento palesemente razzista, parlano di “difesa della cultura europea”.
Faccia tosta, perché queste stesse parole, non le hanno mica gridate a Gheddafi che ha parlato di islamizzare l’Europa, o di dare il via libera e non fermare più gli immigrati clandestini. In quel caso, hanno abbozzato, e non hanno criticato, perché Gheddafi porta gli “sghèi” (o denaro per chi non conoscesse il dialetto lumbard) e perché la Lega è questa: un partito che si presenta in un certo modo, ma agisce in un altro: protesta, ma poi è la prima ad intascare privilegi.
Ricordiamoci di Alessandro Noventa, Assessore leghista, inquisito perché gestisce un giro di prostituzione; oppure pensiamo a Ballaman che recentemente ha dovuto rinunciare alla presidenza del Friuli perché sorpreso ad usare l’auto blu per scopi personali, appesantendo i conti dell’erario; certo la Lega lo ha scaricato, ma io mi chiedo se davvero fossero all’oscuro del comportamento del loro collega di partito.
Ma torniamo a Tradate.
Voi penserete che è un piccolo paesino e quindi non fa testo, e invece no: a Brescia, il sindaco del PDL, Adriano Paroli, ha stanziano 1 milione e 250 mila euro per dare 1000 euro di contributo ad ogni bebè nato nel 2008, purché sia bresciano o di genitori italiani. E quando il tribunale nel 2009 ha imposto di estendere questo contributo anche agli immigrati, ecco un’altra prova di faccia tosta: il contributo viene tolto a tutti, anche agli italiani, così alle prossime elezioni si potranno aizzare ancora di più gli animi contro gli immigrati e contro gli avversari politici che chiedono regole chiare per tutti.
Però nulla di tutto ciò, il PDL e la LEGA ha avuto il coraggio di dirlo a Gheddafi.
Forse prima che dei 5 punti, dovrebbero discutere del coraggio e della coerenza dei propri comportamenti.

‘Riceviamo e Pubblichiamo’

di Gaspare Compagno

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Rom: una terza via oltre i rimpatri ed i farraginosi progetti di inclusione sociale

postato il 5 Settembre 2010

ricordando il casilino 900 di Frammenti dal profondoLa decisione di rimpatriare i rom presa dal presidente Sarkozy ha fatto molto discutere in questi giorni. A partire da questa scelta e dalle politiche sul tema intraprese a Pisa, mi piacerebbe provare a discutere di questo argomento, così spinoso e complesso, anche per il variegato mondo che costituisce la minoranza etnica dei rom e sinti. Credo innanzitutto che quanto intrapreso da Sarkozy, condiviso verbalmente anche dal nostro ministro Maroni, sia un passo molto pericoloso che ci fa rivivere una storia di intolleranza che speravamo di non vedere mai più riproposta in Europa. Questo rischio di deriva culturale e politica non viene solo da destra ma, a livello locale, è stato intrapreso con azioni concrete anche da amministratori di sinistra: a Pisa infatti lo scorso anno, per limitare e contenere il crescente numero di rom presenti in città e il pericoloso proliferare di campi abusivi, diverse famiglie di rom sono state “aiutate” a lasciare il territorio del Comune con il viaggio pagato e un bonus di uscita di 1500 euro.

Ho espresso su queste politiche tutti i miei dubbi “etici”, così come avevo espresso critiche ancora prima alle decisioni portate avanti dalla precedente amministrazione (sempre di centro-sinistra), che aveva messo in piedi il progetto di inclusione sociale denominato “Città sottili”, che proprio in questi giorni si è concluso con la consegna ai rom delle case appositamente costruite. Tale progetto infatti, oltre al censimento dei rom presenti nel territorio e il tentativo di scolarizzazione dei ragazzi, prevedeva la costruzione di una serie di villette a schiera nel campo di Coltano, lo storico e più grande insediamento rom nel Comune di Pisa.

Questo progetto all’inizio così tanto decantato dalla sinistra pisana e non solo (il segretario dei Ds Piero Fassino in televisione a Porta a Porta lo citò come esempio riuscito (sic!) per risolvere il “problema” dei Rom), ha mostrato tutti i limiti di un processo troppo “burocratico”, che tra vari ritardi si sta per concludere oggi tra i malumori e le tensioni del mondo dei rom (molti infatti come era prevedibili rimarranno fuori dagli alloggi, perché il progetto era limitato a quelli presenti in quel campo diversi anni fa quando tale progetto prese avvio) e grossi malumori tra i pisani (è un classico sentire dire tra i cittadini pisani più in difficoltà, con un po’ di cinismo, “l’amministrazione aiuta gli zingari invece di pensare a noi!”). E comunque è un dato di fatto che il progetto Città sottili, come prevedibile, non risolve la questione dei molti altri rom presenti in città che vivono in altri insediamenti abusivi che nel frattempo si sono costituiti. Ma al di là delle questioni economiche a me di questo progetto lasciavano forti dubbi i tentativi di voler integrare e omologare alla nostra cultura quella di popoli ed etnie di così antiche tradizioni e culture che nascono e rimangono nel tempo molto diverse dalle nostre: culture con cui è giusto convivere, ma che non vanno cercate di omologare a quella nostra.

Per questo credo che potevano essere utilizzati quei tanti soldi avuti per il progetto città sottili (più di 900 mila euro sono costate soltanto le villette costruite a Pisa) per un patto diritti-doveri da mettere in piedi con il coinvolgimento dei Rom del territorio. Questo patto che il sindaco di Pisa doveva portare avanti, insieme naturalmente agli altri sindaci delle città dove esistono grossi insediamenti rom, doveva essere incentrato nell’individuazione di una o più aree per rom, da poi rendere vivibili da un punto di vista igienico-sanitario con roulotte, prefabbricati o costruzioni di legno; da un controllo periodico per la salvaguardia di tali aree e poi si doveva passare con l’aiuto e il coinvolgimento di mediatori culturali, associazioni e magari uno o più figure di riferimento-rappresentanza dei rom (a Roma il sindaco Alemanno ha deciso di delegare un Rom, come persona di propria fiducia per i rapporti con le comunità rom e sinte della Città) per un percorso di convivenza possibile. E questa convivenza passa nel riconoscere e rispettare una cultura come quella nomade, ma chiede allo stesso tempo con forza che in nome di una certa cultura non si sfruttino ad esempio i minori per l’accattonaggio e non si tollerino furti o borseggi che una parte di questi nomadi usano fare con troppa disinvoltura. E per quanta riguarda la doverosa istruzione e scolarizzazione, invece che costringerli a frequentare le nostre scuole, con costi e risultati insoddisfacenti, forse si poteva pensare a predisporre corsi scolastici da fare all’interno dei campi rom.

Costruire insomma un tipo di integrazione e di società più all’americana che alla francese o all’europea, tesa cioè a cercare di costruire una società dove le varie culture convivano esaltandone le differenze, piuttosto che cercare a tutti i costi l’uguaglianza e l’omologazione. Tra le due opzioni “estreme”, cioè le espulsioni alla Sarkozy (e alla Filippeschi) e il tentativo di inclusione sociale di progetti troppo dispendiosi e farraginosi come quello di Città sottili, mi pare questa una via possibile per coniugare il rispetto delle persone, delle culture e dei popoli con quella di una cittadinanza che chiede sempre di più maggiore sicurezza e il rigoroso rispetto delle regole.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Lazzeroni

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Fondazioni bancarie, perché la Lega può controllare le banche

postato il 1 Settembre 2010

dollar$ and ¢ents di fpsurgeonQuando Bossi, pochi mesi fa, disse che dopo le regionali voleva le banche, molti la presero come una boutade, una battuta, abituati a pensare che per controllare le banche bisogna investirci e diventare azionisti. Ebbene, non è così, la Lega può controllare le banche senza spendere un euro e, anzi, vede come una minaccia l’ingresso pesante dei libici nel capitale di Unicredit e di altre istituzioni finanziarie ed industriali italiane (va da se, che se si controllano le banche che erogano il credito si controlla il territorio e le aziende che hanno bisogno di questo credito).

Certo, l’esperienza leghista con le banche non è stata molto positiva in passato, basti ricordare il fallimento della Credieuronord, ma stavolta la Lega sembra muoversi in maniera strategica e soprattutto dimostra di avere perfettamente capito la logica di spartizione delle poltrone, come dimostra l’annuncio fatto da Bossi di avere inserito un suo uomo, Ponzellini (ex braccio destro di Prodi all’IRI e presidente di Impregilo) al vertice della Banca Popolare di Milano.

E questo è solo l’inizio.

A breve scadranno altri consigli di amministrazione di varie banche e la Lega conta di inserire i suoi uomini. Ma come potrà riuscirci senza spendere un euro?

Tramite le fondazioni bancarie, nate negli anni 90, quando si spinsero le banche a diventare Società per Azioni. Allora consistenti pacchetti di controllo furono dati appunto alle Fondazioni, degli enti che complessivamente controllano partecipazioni bancarie per un controvalore di 50 miliardi di euro, oltre al 30% della importantissima Cassa Depositi e Prestiti (quella, per intenderci, che dovrebbe finanziare i progetti di infrastrutture del governo italiano) che a sua volta è un socio forte nelle Poste Italiane (con il 35%), Eni (10%, secondo azionista dopo il Tesoro), Enel (di cui è il primo azionista con il 17,4%) e Terna (30%, primo azionista).

Quindi riassumendo: le fondazioni bancarie hanno quote azionarie importanti per controllare le banche, e per controllare la Cassa Depositi e Prestiti. A loro volta le banche e la Cassa Depositi e Prestiti controllano altre banche (Unicredit controlla, ad esempio, Banco di Roma, Banco di Sicilia e così via, e soprattutto ha una grossa quota azionaria di Mediobanca), Assicurazioni ( Generali in primis), le Poste Italiane, Enel. ENI, Terna e così via.

Quante sono queste Fondazioni? Circa 88, ma quelle realmente importanti e grosse sono 5: Fondazione Cariplo, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, e Fondazione Cassa di Risparmio di Torino.

E chi nomina i consigli di amminstrazione di queste 5 fondazioni (ma anche delle altre)? Sono i Sindaci, i presidenti delle Regioni, delle Province, Vescovi e così via.

Pe rintenderci, i consigli di amministrazione delle 5 fondazioni sopra menzionate sono composti complessivamente da 133 persone: 64 di loro sono di nomina politica (29 dai Comuni come quello di Torino o di Verona; 30 da Province, e 5 da Regioni); 44 sono scelti da enti vari (camere di commercio, vescovi come quello di Verona, università); 25 sono nominati direttamente per cooptazione dai componenti già in carica.

Quanto durano in carica queste persone? Molto a lungo, basti considerare ad esempio, il dott. Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, che è stato nominato nel 1997 e resterà al suo posto almeno fino al 2013. La sua nomina, per altro, fu oggetto di una battaglia “politica”: nel 1997 i leghisti, con l’appoggio di Marco Formentini, allora sindaco di Milano, provarono a nominare una loro perosna di fiducia: Stefano Preda, ma la nomina toccò a Guzzetti che è anche alla guida dell’Acri (l’associazione che raccoglie le casse di Risparmio e le Fondazioni Bancarie) da dieci anni. Ancora più lungo il periodo di “reggenza” di Paolo Biasi, imprenditore e banchiere, che dirige dal 1992 la Fondazione della Cassa di Verona, ma il suo mandato scadrà nell’Ottobre del 2010 e il Carroccio già promette battaglia per il rinnovo del cda.

A questo punto cosa accade? I cda delle Fondazioni bancarie, ovviamente, possono nominare alcuni membri dei cda delle banche e delle società sopra menzionate, condizionandone, quindi, le strategie, ma i giochi possono essere sparigliati dagli altri soci di queste società, soprattutto se sono soci forti, con grossi capitali e slegati dalla vita politica ed economica italiana.

Da questa considerazione, si capisce perchè la Lega abbia visto molto male e anzi abbia “protestato” quando è stato reso noto che la Libia vuole arrivare al 20% dell’ENI e al 10% del capitale di Unicredit, diventando così il primo socio di riferimento di questi colossi, proteste veementi da parte di alcuni suoi membri, ad uso del loro elettorato, mentre altri membri come Zaia si dimostrano molto più malleabili e disponibili a scendere a patti con i nuovi soci forti, dimostrando che al di là dei proclami, ciò che conta è il business.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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I messaggi di Gheddafi e le nostre risposte

postato il 1 Settembre 2010

La visita di Gheddafi in Italia ha confermato lo spettacolo imbarazzante, l’ennesimo, a cui il nostro paese è sottoposto, come conseguenza della spregiudicata politica estera, sempre più incentrata sui rapporti unilaterali, che il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi porta avanti.

La seconda visita di Gheddafi in Italia ha celebrato lo storico trattato di amicizia stipulato due anni fa tra l’Italia e la Libia. Lasciando da parte quegli aspetti economici, sociali, di sicurezza e di contenziosi storici da chiudere che hanno contribuito all’accordo, se valutiamo il trattato da un punto di vista storico e giuridico, può considerarsi anche doveroso che l’Italia risarcisca per i crimini commessi durante l’occupazione della Libia (può essere anche un precedente positivo nel diritto internazionale che però anche altri Stati responsabili di gravi crimini è auspicabile vogliano seguire). Quello che lascia forti dubbi però è se un accordo del genere possa essere siglato con uno Stato non propriamente democratico, come quello guidato da decenni dal colonnello libico Gheddafi.

Forse sì, ma allora doveva essere incentrato sulla sottoscrizione di un impegno per un maggior rispetto dei diritti umani e dei valori della libertà. E in quel caso già sognavo un Berlusconi prima maniera (quello della discesa in campo per la rivoluzione liberale) che andava a Tripoli e, insieme ai tanti soldi, proclamasse, forse con uno stile un po’ americano, l’esportazione della democrazia in forma pacifica, richiamando il dittatore libico al rispetto dei diritti umani, dei dissidenti politici e della libertà religiosa.

Invece sta succedendo esattamente il contrario: come in un incubo, vediamo Gheddafi, per la seconda volta a Roma, diventare il protagonista assoluto di questi incontri bilaterali; prenderci sempre più gusto e, nell’assordante silenzio della maggioranza (anche quella più beceramente anti-islamica), esaltare lo Stato libico contro le decadenti democrazie occidentali, celebrare con pubbliche manifestazioni le conversioni di alcune donne all’Islam, invitare l’Italia e tutta l’Europa decadente a convertirsi alla “Vera e Ultima” religione, tenere lezioni a centinaia di giovani e belle donne e, infine, chiedere sempre più soldi all’Europa per “riuscire” a contenere l’arrivo di nuovi immigrati in fuga dalle coste libiche. Insomma un vero capolavoro quello che ci fa vivere la diplomazia berlusconiana.

Ma i tre giorni di spettacolo “folkloristico” offerto da Gheddafi, tra i silenzi del governo italiano, ci danno l’occasione anche per fare qualche riflessione su di noi. Infatti i messaggi provocatori, e allo stesso tempo tristemente seri, del colonnello libico fanno inesorabilmente da specchio della nostra società; ad esempio sul valore e il ruolo della donna, così maledettamente simile a quello che sembra offrire gran parte della società italiana e della nostra classe politica.

Così come i tentativi di colonizzazione della religione islamica, se da una parte si scontrano con una democrazia liberale che ha gli anticorpi per tenere a distanza l’impostazione da Stato etico di Gheddafi, dall’altra trovano terreno fertile in una società dove sempre più forte risulta la deriva etica relativista, che renderà sempre più difficile il confronto con le altre culture e le altre religioni, soprattutto quelle emergenti ed “aggressive”; confronto che non è aiutato neppure da una presunta tutela della Cristianità e dei suoi valori, se questa passa attraverso interlocutori assai poco credibili che, con la scusa del crocifisso, seminano i germi della violenza, della xenofobia e dell’intolleranza.

Insomma l’“incubo” che la diplomazia italiana ci ha fatto vivere in questi giorni si porta dietro, insieme allo sdegno crescente per una politica estera di Berlusconi incentrata sempre di più da rapporti stretti e consolidati con chi non sempre rispetta i diritti umani e della libertà (Putin, Gheddafi e il leader bielorusso Alexander Lukashenko), anche l’occasione per riflettere un po’ meglio su di noi e provare a migliorare: la nostra politica, ma non solo.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Lazzeroni

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Un consiglio al Cavaliere dimezzato

postato il 31 Agosto 2010

Alla ripresa dei lavori parlamentari Silvio Berlusconi cercherà di rianimare il suo governo e di mettere con le spalle al muro i finiani con i cinque punti programmatici partoriti dal vertice del Pdl di metà agosto. Nelle intenzioni del Premier questi cinque punti (giustizia, mezzogiorno, fisco, federalismo e sicurezza) dovrebbero rappresentare la riscossa di un governo da troppo tempo bloccato da lotte di potere e scandali ed anche l’estremo tentativo di ricompattare la maggioranza per evitare le urne.

Eppure questi cinque punti, sui quali il Cavaliere confida tanto, hanno già il sapore della sconfitta perché sono l’ombra della rivoluzione liberale, di quel grande progetto riformatore più volte propagandato ad ogni consultazione politica. Da anni in prossimità delle elezioni politiche appare un Cavaliere rampante con programmi di rinnovamento epocale che però una volta al governo puntualmente si tramuta in un Cavaliere inesistente che preda di mille problemi politici e giudiziari dimentica sogni e progetti. Ma questi cinque punti, frutto di limature ed equilibrismi, più che un programma innovatore sembrano  “macerie programmatiche” che mal si addicono ad un Cavaliere rampante, piuttosto è il caso di ricorrere nuovamente alla celebre trilogia araldica di Italo Calvino per parlare questa volta di un Cavaliere dimezzato.

Il Premier è dimezzato non solo perché ha perso gran parte del suo lustro ma perché è proprio il suo programma ad essersi rimpicciolito. I più perfidi ricorderanno i 45 punti del programma della “discesa in campo” del 1994 e poi i monumentali 100 punti programmatici del Polo delle Libertà nel 1996 che segnano l’apogeo del programma berlusconiano a cui segue la progressiva diminuzione dei punti: 10 con la Casa delle Libertà nel 2006 e infine 7 con il Popolo delle Libertà nel 2008. Oggi i punti sono solo 5 e il Cavaliere  come il suo programma è ben più che dimezzato. Bisogna capire a questo punto se questi cinque punti sono solo una parte della strategia di Silvio “il temporeggiatore”,  che vuole prendere tempo per mettere al muro Fini ed evitare che il duo Bossi-Tremonti passi all’incasso elettorale, oppure sono il reale tentativo di dare una svolta concreta all’azione governativa e rimettere in moto il Paese.  In quest’ultimo caso un’opposizione responsabile e repubblicana non dovrebbe avere problemi a esaminare senza pregiudizi ed eventualmente votare dei provvedimenti chiari e necessari, tuttavia al momento questa valutazione resta in sospeso perché i cinque punti sono solo dei contenitori vuoti, delle generiche affermazioni programmatiche che Berlusconi deve necessariamente chiarire.

Luogo naturale del chiarimento è il Parlamento davanti al quale il Premier si deve presentare con la sua squadra, e in questo senso è auspicabile che al più presto un ministero chiave come quello dello Sviluppo economico abbia finalmente un titolare, per chiarire a maggioranza e opposizione in cosa consistono i cinque punti programmatici. In questo agosto così politicamente movimentato il Foglio di Giuliano Ferrara ha lanciato la simpatica iniziativa “mozione di settembre” ovvero “gioco di società per evitare un agosto di lavoro al Cav. (e rilanciare il gov.)” con la quale si chiede a lettori più o meno celebri di dare qualche dritta a Berlusconi per il prossimo appuntamento politico. Chissà se il Cavaliere ha letto qualche suggerimento? Nel dubbio si potrebbe provare a dare qualche consiglio e considerato che le grandi riforme sembrano ormai fuori portata si potrebbe tentare di salvare il salvabile, magari trovando anche  il consenso dell’opposizione, portando in Parlamento qualche piccolo ma necessario provvedimento.

Si potrebbe tornare a parlare del più volte promesso quoziente familiare e si potrebbe provare a rimettere in moto l’economia italiana rendendo facile la vita alle imprese e favorendo la creazione di attività con lo snellimento e la semplificazione delle pratiche burocratichel’eliminazione di costi e vincoli amministrativi ingiustificati. E se poi si parlasse di tornare ad investire su istruzione e ricerca e di ripristinare gli stanziamenti per le Forze dell’Ordine?  Ma qui ci stiamo già allontanando dai famigerati cinque punti e non è il caso di andare oltre perché se è vero che Martino per un punto perse la cappa figuriamoci cosa succederà al Cavaliere con cinque.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Il sostegno che manca alla famiglia

postato il 30 Agosto 2010

Paternità, di GeomangioLo avevano detto tempo fa vari istituti come Banca d’Italia, Istat e altri ancora: le famiglie sono sempre più povere e sono poco sostenute economicamente.

Adesso anche il ministero del Tesoro certifica questa triste realtà, come si evince questa notizia ANSA: WELFARE: TESORO, ITALIA ULTIMA IN UE-15 PER SPESA FAMIGLIA

CON PORTOGALLO E SPAGNA FANALINO CODA PER SOSTEGNO MATERNITA’ (ANSA) – ROMA, 28 AGO – Per la famiglia e la maternita’ l’Italia spende solo l’1,2% del prodotto interno lordo, mentre nell’Unione europea si spende decisamente di piu’ (2,1% nella Ue a 15 e 2,0% nella Ue a 27). Nella classifica dell’Europa a 15 l’Italia risulta, assieme alla Spagna e il Portogallo, ultima per la spesa in rapporto al Pil. Per quanto riguarda invece la quota di spesa nell’ambito di tutte le prestazioni di protezione sociale, l’Italia tra i 27 Paesi europei precede solo la Polonia: nel nostro Paese la quota per la famiglia e la maternita’, nell’ambito della spesa per welfare, pesa il 4,7% (in Polonia il 4,5%). Ma la media complessiva dei Paesi europei e’ dell’8%. E’ quanto risulta dall’ultima ‘Relazione Generale sulla situazione economica del Paese’ del ministero dell’Economia.

Come si vede la situazione non è allegra, anzi è drammatica per le famiglie, e i numeri non mentono, nulla di nuovo, una realtà che la gente vive ogni giorno.

Una realtà triste, che denota la totale assenza del governo su questo capitolo importante, assenza che si ritrova anche nei famosi 5 punti di Berlusconi, che non presentano interventi a favore delle famiglie, tanto che lo stesso Sacconi, ieri al Corriere della Sera ha dichiarato testualmente: ”meno Stato, piu’ societa’. Non piu’ ‘mercato’, piu’ societa”’. ”Con la crisi mondiale finisce il Leviatano. Finisce lo Stato pesante e invasivo”, facendo prefigurare che lo Stato “più leggero” si tradurrà anche in futuro in meno sostegno all’economia e alle famiglie.

Anche se in linea con sue affermazioni passate, in cui ad esempio incoraggiava la chiusura di ospedali in Veneto (gelando così i costruttori veneti che così si ritrovano con 4 miliardi in meno di investimenti pubblici e 20.000 posti di lavoro in meno nel solo Veneto), la formula “meno Stato” appare di per sé preoccupante; non c’è bisogno di azzerare lo Stato ma di uno Stato più equo, che faccia rispettare la legge, e che sia oculato nello spendere le sue risorse avendo come obbiettivo il sostegno delle famiglie e la crescita economica dell’Italia.

Soprattutto, le dichiarazioni di Sacconi, e l’assenza della famiglia nelle manovre di Tremonti e nei 5 punti di Berlusconi, stridono con l’iniziale programma di governo in cui era stata inserita la promessa di una politica organica di aiuto alle famiglie.

Bisogna, invece, rilanciare una politica del lavoro e una politica di sostegno verso le famiglie, anche portando avanti la proposta del quoziente familiare, come sostenuto dall’on. Volontè che ha testualmente detto: “L’Italia e’ ultima nella Ue per le spese a favore delle famiglie, quindi e’ la prima in ingiustizia fiscale. Il Ministero del Tesoro certifica la drammatica realta’. Ora il Governo mantenga impegni su fisco familiare. Il ‘quoziente’ e’ una urgenza indifferibile”.

Ma cosa è il quoziente familiare?

Si tratta di modificare le traadizionali fasce ISEE (acronimo per Indicatore Situazione Economica Equivalente) in base al nuovo parametro, infatti, si otterrebbe che i nuclei con due o più figli possano avere una diminuzione dei costi dei vari servizi, con benefici in termini concreti anche di un centinaio di euro all’anno per ogni figlio.

Una proposta di facile esecuzione, e con un impatto limitato sui conti pubblici, ma che permetterebbe di dare un sostegno concreto alle famiglie, che sono non solo sostegno sociale, ma anche economico dell’Italia intera.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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La nuova visita di Gheddafi a Roma

postato il 29 Agosto 2010

‘Riceviamo e pubblichiamo’

di Giuseppe Portonera

La cosa più simpatica di questo nuovo viaggio di Mu’ammar Abū Minyar al-Qadhdhāfī , supremo leader libico, in Italia, resterà senza dubbio la telefonata del colonnello Francesco Ferace all’ambasciata libica, per informarsi di come debbano essere nutriti i trenta fantastici quadrupedi che la “Guida della Rivoluzione” ha portato con sé. [Continua a leggere]

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La tessera della discordia: il calcio e i suoi tifosi ad un bivio

postato il 29 Agosto 2010

Il mondo del calcio si è rimesso in moto in queste ore, con la (grande?) novità della tessera del tifoso.
Abbiamo assistito a veementi proteste degli ultras un po’ in tutta Italia, a divisioni tra tifosi della stessa squadra (nella mia città, Pisa, domenica scorsa si è arrivati allo scontro, prima verbale e poi fisico, tra la minoranza più oltranzista della curva e la maggioranza degli sportivi che ha invece accettato di fare la tessera) e, per finire in bellezza, alla violenta contestazione al ministro dell’interno Maroni, con assalti da parte degli ultras bergamaschi durante un comizio ad una festa leghista.

Ma cosa è questa tessera e perché è tanto ostacolata? La tessera del tifoso è una sorta di bancomat personale con cui i tifosi avranno una serie di servizi (acquistare i biglietti in modo più veloce, passare attraverso varchi preferenziali negli stadi, accedere allo stadio anche nei casi di partite soggette a restrizioni per ragioni di sicurezza). Il punto più importante infine è che questa serve necessariamente per assistere ad una partita in trasferta, visto che le società hanno l’obbligo di vendere i biglietti riservati ai settori ospiti esclusivamente ai possessori della tessera del tifoso.

Insomma non è una schedatura vera e propria ma poco ci manca. Per questo è chiaramente rifiutata dagli ultras e perché, con questo sistema i tifosi sottoposti alla Daspo non potranno più, contrariamente e quanto avveniva fino ad ora, eludere il provvedimento di divieto ad entrare negli stadi. Insomma questa tessera non sarà la panacea di tutti i mali, ma è un passo avanti per responsabilizzare tutti gli sportivi che vanno allo stadio. Quei tifosi che non hanno niente da temere con la giustizia forse ci guadagnano qualcosa.

Ma questo provvedimento non potrà, da solo, cambiare un sistema calcistico che nel tempo sta diventando insostenibile. Servirà molto altro per provare a mettere in campo quella rivoluzione culturale di cui il calcio avrebbe bisogno. Vediamo alcuni spunti: innanzitutto, l’istituzione di questa tessera dovrebbe bloccare, fin da subito, le decisioni prese dall’Osservatorio Nazionale delle manifestazioni sportive e il Casms (Comitato di analisi per la sicurezza delle manifestazioni sportive) di negare ai tifosi di una squadra ospite di partecipare ad una trasferta, o di disputare partite a porte chiuse. Questo infatti va proprio contro la nuova filosofia che servirebbe per migliorare il nostro calcio. La politica e le istituzioni che garantiscono la sicurezza dovrebbero, d’accordo con la Figc, avere inoltre maggior coraggio e ridurre drasticamente la militarizzazione della domenica, con intere zone delle città chiuse e blindate per una partita di calcio. Ogni cittadino di buon senso sa, con la crisi in corso e con i problemi di criminalità che abbiamo, che lo sproporzionato numero di forze dell’ordine negli stadi è un costo non più sostenibile, oltre che un affronto allo sport, quello vero.

A questo proposito qualcosa si sta muovendo; ad esempio, negli ultimi anni la città di Firenze ha sperimentato la graduale riduzione di impiego delle forze di polizia e solo nelle aree più esterne dello stadio. Su questo tema dovrebbero rischiare di più anche le società calcistiche, che in troppi casi tengono rapporti troppo stretti con i violenti di casa propria. Alle società invece dovrebbe essere affidata, attraverso gli steward, la completa gestione della sicurezza negli impianti, con la polizia soltanto in supporto. Inoltre basterebbe poco per prendere iniziative tese a svelenire il clima tra opposte tifoserie, ad esempio organizzando “terzi tempi” tra tifosi, con punti di accoglienza prima e dopo la gara per i tifosi ospiti. Infine, si dovrebbe avere il coraggio di abbattere le barriere degli stadi, da noi troppe volte concepiti come un campo di battaglia, con divisioni e gabbie.

In attesa di costruire nuove stadi più adatti ad accogliere bambini e famiglie, che almeno si facciano delle piccole migliorie su quelli vecchi. Se in Inghilterra e in altri paesi europei non esistono divisioni tra tifosi e tra i tifosi e il terreno di gioco, se ai mondiali o agli europei è normale per i tifosi vedere le gare stando fianco a fianco, perché non deve essere possibile, nei nostri stadi, vedere tifosi di squadre avversarie sedere gli uni accanto agli altri? Come in Inghilterra, serve anche da noi il pugno durissimo contro chi sgarra (ricordo che all’interno degli stadi inglesi esistono delle celle dove i tifosi sono messi in attesa di essere arrestati), ma anche una nuova cultura sportiva di vivere il calcio che, guarda caso, ogni allenatore italiano che va ad allenare all’estero sottolinea. Non sarà facile e sarà un processo lungo, ma siamo ad un bivio. La tessera del tifoso deve essere solo un piccolo tassello inserito in una serie di azioni per dare vita ad una nuova era: senza, il calcio sopravvivrà ancora per un po’, ma non avrà un grande futuro.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carlo Lazzeroni

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Un esempio di ottima politica economica: la Germania

postato il 27 Agosto 2010

In questi giorni si è avuta la conferma che per alcune nazioni, la ripresa è dietro l’angolo: uno di questi è la Germania che sta tornando a correre, occupando di nuovo il suo posto di locomotiva d’Europa.
E’ probabile che la Germania chiuda il 2010 con un numero medio di disoccupati pari a 3,2 milioni, 250mila in meno rispetto al 2009 e oltre 1,5 milioni in meno rispetto a cinque anni fa.
In pratica come se la crisi mondiale non ci fosse stata.

Già da alcuni mesi la Germania, governata da un governo di larghe intese e guidata da Angela Merkel, ha dato segni di un notevole risveglio economico: il PIL è cresciuto del 2,2% contro l’1% dell’Europa, nonostante la Germania abbia varato una manovra correttiva molto più pesante (circa 70 miliardi di euro distribuiti tra tagli e maggiori tasse, nell’ordine di 10 miliardi di euro da ora al 2016) di quella di altre nazioni europee, mentre l’indice IFO ha registrato un rialzo dell’indice di fiducia nelle imprese tedesche a 106,7 punti nel mese di agosto, rispetto ai 106,2 di luglio e contro le attese degli analisti di una soglia pari a 105,7. I dati, inoltre, fanno segnare una forte crescita degli investimenti e una ripresa della domanda dalle principali economie emergenti. La crescita del 2,2 per cento dell’economia tedesca nel secondo trimestre fa sperare le imprese, ma potrebbe andare meglio e la Bundesbank ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita per il Paese nel 2010 a un più 3 per cento.

Le esportazioni sono aumentate dell’8,2 per cento nella prima metà dell’anno. Su tutto questo, le industrie premono perché il governo liberalizzi le norme per l’immigrazione e il permesso di lavoro degli stranieri qualificati. Il governo è diviso, il ministro dell´Interno si dice contrario, ma la carenza di personale minaccia di frenare la crescita tedesca che si indirizza soprattutto nell’export verso paesi extra UE, come la la Cina e il Brasile, senza dimenticare la Russia, il Sud Africa e altre zone del Far East asiatico.

Come sono stati raggiunti questi risultati?
La Germania ha saputo rafforzare la sua capacità manifatturiera favorendo e sostenendo la capacità di ricerca e innovazione e incoraggiando l’immigrazione di personale qualificato anche da altre nazioni, non solo della UE, ma anche extracomunitari, ottenendo in tal modo grande ammodernamento tecnologico, qualità e la possibilità di essere rapidamente aggiornato sulle nuove tecnologie. Su tutto ciò la Merkel è stata molto abile: nei suoi viaggi ha saputo lanciare al massimo il marchio “Germania” come sinonimo di affidabilità, qualità e serietà, anche grazie alla sua serietà riconosciuta da tutti i leader mondiali.

Ecco la Germania vincente, che incoraggia la ricerca, con la Siemens in Cina e in Brasile (alta velocità ferroviaria, impianti per l’energia rinnovabile), la Bmw e la Volkwagen, e altre aziende. Per fare ciò ci vuole anche il coraggio di prendere delle scelte a volte difficili: la Germania ha deciso, ad esempio, di imporre una tassazione aggiuntiva per le banche con l’obbiettivo di racimolare 1,5 miliardi di euro annui da destinare ad un fondo di sostegno per le stesse banche in crisi.

Investendo moltissimo sulla produttività e con dei sindacati responsabili che hanno partecipato all’operazione, accettando modifiche dei salari e degli orari in cambio di tutela dell’occupazione.
E il resto d’Europa? L’Italia ha delle caratteristiche simili, per certi versi, alla Germania, a partire proprio dall’industria: siamo il secondo paese manifatturiero del continente, dopo i tedeschi, ma a differenza dei tedeschi il sistema pubblico, la politica, i sindacati, sono meno attivi nel sostegno all’industria e alla sua espansione internazionale.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Gaspare Compagno

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