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Capire e dialogare con i giovani, sentire l’Italia: il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica

postato il 1 Gennaio 2011

“Sentire l’Italia”. Potrebbe essere questa la chiave di comprensione del discorso di fine anno del Presidente  della Repubblica, un discorso che non è solo un bilancio di fine anno ma un accorato appello alle istituzioni, alla politica, ad ogni italiano ad appassionarsi per il futuro del Paese. Appassionarsi per il futuro del Paese significa saper cogliere soprattutto le ansie e le preoccupazioni di chi è l’orizzonte dell’Italia: i giovani.
Mai come in quest’anno i giovani hanno incarnato nella loro protesta e nella loro sfiducia l’incertezza e la paura di un intera comunità civile e giustamente allora il Presidente Napolitano ha voluto rivolgersi a loro e ha voluto farli perno del discorso presidenziale. Non è banale retorica politica quella del Presidente della Repubblica, ma una acuta analisi della situazione e la proposta di una strategia che corrisponde ad un “impegno generalizzato” e ad una vera e propria “scommessa” sulle nuove generazioni.
L’impegno e la scommessa passano dunque dal “sentire l’Italia”, dal saper cogliere non solo il malessere, il fatalismo, ma anche il progressivo distacco tra la politica e la società, il Palazzo e la gente. Il Capo dello Stato ha indicato agli italiani e in particolare ai giovani anche il modo di vincere la sfida di questo tempo difficile: impegno politico e responsabilità civile. La tentazione dell’antipolitica, della fuga e dell’isolamento devono cedere il passo ad uno straordinario impegno politico non solo di chi già fa la politica, che è chiamato a responsabilità e chiarezza, ma di coloro che fino ad ora se ne sono tenuti disillusi ai margini. Diceva una famosa canzone di Ivano Fossati che “c’è ancora qualcosa da dire e da fare”, questo è il tempo non solo di sentire l’Italia ma di cominciare ad amarla.

Adriano Frinchi

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Il processo all’oligarca Khodorkovskij riapre la questione dei diritti umani in Russia

postato il 29 Dicembre 2010

Agli inizi degli anni ’90 la Russia di Eltsin attraversò un convulso periodo di apertura al mercato.

Non tutte le aziende ereditate dalla defunta Unione Sovietica erano in condizioni tecnologiche ed economiche disastrose: a partire dalla metà degli anni ’70 infatti l’U.R.S.S., complice anche la Crisi Petrolifera, conobbe un notevole incremento nel campo dell’estrazione del carburante fossile.

Benché tecnologicamente arretrate, le industrie estrattive russe, divennero la preda più ambita dalla schiera di funzionari appartenenti all’ex Partito Comunista.

Si fecero così largo, sotto l’ala protettrice della presidenza Eltsin, diverse figure che approfittando della svendita per pochi spiccioli dovuta alle privatizzazioni delle aziende di Stato, riuscirono ad accaparrarsi delle industrie che in un sistema economico chiuso alla concorrenza estera come quello comunista, riservavano un potenziale di sviluppo enorme.

In questo quadro si inserisce la storia del magnate Mikhail Khodorkovskij.

Facendo leva sugli stretti legami intessuti col Cremlino, Khodorkovskij riuscì ad acquistare nel 1995 una delle principali aziende petrolifere statali, creata due anni prima da Eltisn mediante la fusione tra YUganskneftegaz e KuibyshevneftOrgSintez: nacque così la Yukos.

L’ascesa al potere di Vladimir Putin aprì un’aspra lotta di potere in capo alle aziende controllate dagli oligarchi, legati a doppio filo con la burocrazia ed il potere politico che il neo-presidente aveva intenzione di scardinare.

Proprio in questo constesto, nel 2005 Khodorkovskij a seguito di un’indagine iniziata due anni prima, venne condannato ad otto anni di reclusione per frode ed evasione fiscale, e rinchiuso in un carcere siberiano; coimputato è Platon Lebedev, presidente della banca maggiore azionista di Yukos.

Nel frattempo Yukos fu smembrata e costretta alla bancarotta a favore dello Stato, per far fronte alla richiesta del fisco di 30 miliardi di dollari.

Oggi, scontata metà della condanna, Khodorkovskij e Lebedev sono stati riconosciuti colpevoli di appropriazione indebita di 218 tonnellate di petrolio (per un valore stimato di 97,5 milioni di dollari): l’intera produzione del defunto colosso petrolifero tra il 1995 ed il 1998 e condannati a scontare altri sette anni di carcere.

Dure reazioni a quello che è visto da molti come un processo politico giungono dalle principali cancellerie occidentali.

Il Governo italiano in tal senso non ha dato seguito alle proteste internazionali, benché, come ricorda l’On. Rao (U.d.C.): – “Lo scorso anno tutte le forze politiche presenti in Parlamento, ad eccezione della Lega, approvarono una mozione a firma Casini con la quale si chiedeva di attivare tutti i canali diplomatici disponibili per garantire il rispetto dei diritti umani e il diritto alla difesa di Khodorkovsky, come anche di Lebedev e dei cittadini russi in generale”. Anche “Avvenire” si è espressa nella stessa direzione, ammonendo “che la magistratura non può colpire un avversario politico”.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti

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Lavoro? in Liguria è il momento di agire

postato il 28 Dicembre 2010

Un mercoledì come un altro. 37 anni. 3 figli e 1 moglie. Un lavoro. Prima. Crisi, lavorativa e depressiva. Ora. Basta. Fine. Non ce la faccio più. Giù. Mi butto. Mi butto giù!

Ho provato a narrativizzare un tragico evento, accaduto mercoledì scorso nel Levante di Genova. E mi ha fatto pensare: “Che dramma, che disgrazia”. Vien spontaneo dire così, e ci mancherebbe!
Poi, però, ti fermi. Ti fermi a contare e a pensare: lui mercoledì, poi un altro venedì. Ma ce ne era già stato uno la settimana scorsa. E non era il primo! E poi, uno anche Sabato. Basta lo dico io e vorrei lo dicessero tutti. Ma voglio staccarmi dalla cronaca. Mera triste somma di singole tragiche vicende.

Via la cronaca. Si passi alla politica, ai fatti. O meglio, alle soluzioni che la politica deve dare ai problemi della società. Senno’, che ci sta a fare?!

Premessa: non si può prendere il tema sottogamba, non si scherza col Lavoro. E’ incastonato, scritto (con idealità, certo, ma ci sta scritto) nell’ Art.1 della Costituzione e in modo più specifico (seppur sempre generale, come si confa ad una Legge Fondamentale) agli Artt. 35 e 36.

“Siamo in un periodo di forte crisi economica”, “la crisi sta colpendo”, “tutto l’Occidente sta attraversando un’impressionante momento di crisi”, e tante altre espressioni di questo tipo. “Non ci sono più soldi”, “L’Italia ha il debito pubblico più grande dell’Europa, e non solo”, “Negli Anni ’80 ci si è indebitati oltre misura”, “il Welfare non potrà garantire nemmeno più chi già oggi lavora”, e tante altre espressioni di questo tipo. Io mi sono stufato e credo con me si sia stufato ancor di più chi se le sente “raccontare” da più tempo di me. Sono tutte parole che sappiamo a memoria dai Tg.

E’ ora di cambiare musica, di affrontare la crisi e le difficoltà. E’ ora di rimboccarsi le maniche, di prendere il coraggio a 2 mani e decidere “che fare”: Se c’è la crisi, va bene tirare le corde della borsa, va bene decidere di non spendere più, ma non può bastare. Ci vuole coraggio, il coraggio di fare Riforme -con la “R” maiuscola- e, magari, anche Riforme impopolari. Parlo di liberalizzazioni, pensioni, università e accesso al lavoro.

Tutti, rossi, neri, azzurri, verdi, bianchi e a pois, negli anni, si sono riempiti la bocca si slogan e buone intenzioni. Non basta più.
La crisi sta soffocando chi fino a ieri riusciva, magari barcamenandosi tra una rinuncia e 100 saldi di fine stagione, a tirare avanti, e invece oggi proprio non ce la fa, non solo economicamente, ma anche proprio moralmente. Sente che intorno a lui, fuori dalle mure di casa, non c’è una società, non c’è uno Stato, non un tessuto sociale, non c’è un Welfare State capace di accoglierlo e sostenerlo. E questo, comprensibilmente, “ti butta giù”…

E’ necessario, ora più che mai, che lo Stato si riappropri di quel ruolo che gli spetta di diritto. Non con politiche assistenzialiste incapaci di creare un vero cambiamento, ma investendo in modo mirato e ponderato dove riesce. Detto così sembra facile, ma non lo è, chiaramente. Però, non è certo con i tagli lineari e “il braccino corto” che si può cambiare veramente.

Un esempio? Le prospettive nell’ambito Portuale Lgure. A chi piace leggere e seguire un poco le vicende, appare uno scenario molto interessante per il futuro: un futuristico“piano MiNova” (ossia un’alleanza strategica tra Genova e Milano, stile Parigi, caldeggiata dal Presidente dell’Autorità Portuale di Genova); 1500 nuovi posti di lavoro, in un futuro prossimo, tra il Porto di Genova e quello di Savona; “Terzo Valico” (si parla di dimezzare il tempo di percorrenza del tratto MI-GE!); il Boom dei Container a La Spezia, e tante altre. Ma anche una rinascita prospettata a Cornigliano (nel Ponente di Genova), e non solo. Solo veramente tante, tantissime le prospettive di una nuova ripresa, in tutta la Liguria.

Ma possiamo crederci?! Sono ottimista sul fatto che tutto ciò si verifichi, ma possiamo pensare che tutto accada lasciando al caso o (dando meriti a chi se li merita, appunto) per il merito e l’impegno di tanti singoli?! Perché non fare squadra?! Perché non coordinare il tutto, semplificando e velocizzando processi che potrebbero richiedere un periodo di realizzazione ancora troppo ampio?! Perché non assumersi la responsabilità di farsi primo motore della ripresa? Serve coraggio, tenacia, e un pizzico di audacia. Quella che ti permette di andare anche contro alcuni veti e perplessità (vedi Terzo Valico e Gronda, sia di Levante sia di Ponente), quella che ti permette di dire alla gente che scelte impopolari devono essere fatte, per stare meglio, veramente meglio, domani.

Ma poi, ovviamente, si è liberi di pensare che sia meglio andare avanti così, “tirare a campare”, pur di non rischiare di fare qualche piccolo sacrificio oggi, anche se porterebbe un benessere domani… Ma chi ci pensa al Domani? ciò che conta è solo l’Oggi!

I primi a pensare al Domani devono e sono i Veri Giovani! Non chi ad essere giovane si atteggia o, al limite, lo è anagraficamente.  Ma Giovane nello spirito e nel modo di pensare. Per cambiare veramente, bisogna cambiare molto, lasciarsi alle spalle alcune abitudini e anche, oso dire, alcune comodità e privilegi a cui si è abituati.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Edoardo Marangoni

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Auguri, desideri e speranze per la Lucania che verrà

postato il 27 Dicembre 2010

Ancora pochi giorni e poi sarà 2011. Questi ultimi sono giorni di bilanci, desideri e propositi.

Tra i desideri espressi in questi giorni, ce n’era uno di particolare importanza per me, un desiderio di pace e serenità per questo Paese, dilaniato da un anno di scontri, conflitti e discussioni, che hanno indebolito la nostra amata Italia e l’hanno resa più vulnerabile. Partendo da quest’amara considerazione, mi sono soffermata a riflettere su quelli che, secondo me, sarebbero i migliori regali per la mia regione, la Basilicata, e per il nostro Paese.

Innanzitutto, spero che questo nuovo anno, porti un rinnovamento vero, che possa risollevare le sorti di una regione che da troppi anni arranca e soffre il peso di un sempre più forte spopolamento, che ha bisogno di invertire rotta e di imboccare, finalmente, la strada dello sviluppo.

Uno sviluppo che sia il più ecosostenibile possibile, che non renda ancora più tristi le già difficili condizioni ambientali lucane.

Spero fortemente che davvero, in questo 2011, possa cambiare qualcosa nella nostra regione, auspico che si possa parlare presto di una regione rinata, forte delle proprie peculiarità, resa grande dalla sua unicità.

Spero, ancora, che questo sviluppo possa interessare tutti quei giovani che, vedendosi sbarrare le porte del lavoro, sono costretti a lasciare la Lucania, costretti a rivedere la propria terra solo durante le vacanze natalizie, costretti a lasciarsi alle spalle tanti ricordi, ad allontanarsi dalla propria famiglia per necessità, per rincorrere il tanto desiderato posto di lavoro.  Spero che la nostra regione non debba essere più costretta a veder fuggire via i ragazzi migliori, i più capaci, che vorrebbero investire la propria intelligenza sul territorio, ma si vedono preclusa questa possibilità a causa della scarsa lungimiranza di una classe politica troppe volte inadatta a rispondere alle nostre esigenze.

Spero che il nuovo anno, dunque, non si risolva soltanto in un mare di propositi, ma che possa portare davvero quelle novità che attendiamo da mesi, anni o, piuttosto, da decenni.

Ed infine, un’ultima speranza, questa volta rivolta al nostro bel Paese: spero che il 2011 sia un anno di soddisfazioni dopo le difficoltà di questi ultimi tempi, confido nell’anno che verrà, perché questo possa segnare una svolta vera per la nostra Italia.

E quindi, concludo questa mio elenco di desideri e speranze con un augurio. Un augurio di Pace e Serenità, affinchè Gesù possa rinascere nei nostri cuori, portando gioia, felicità e cambiamento.

Buon Natale e felice 2011!

“Riceviamo e pubblichiamo” di Marta Romano

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Post-it natalizio, tanti auguri alla mia Milano

postato il 26 Dicembre 2010

Una realtà vasta e complessa come Milano e la sua Area Metropolitana ha tanto da dire e da chiedere in questo periodo di attesa, di bilanci, di aspettative. Ognuno con le sue molteplici sfumature e peculiarità potrebbe vorrebbe donare quel qualcosa che manca e che sente di poter dare al tessuto umano e sociale nel quale si trova inserito.

Il Natale delle maschere forse nasconde tante verità,oltre il velo della miseria umana, il non senso che ha caratterizzato l’attualità di questi mesi, quando la vera finanziaria da varare la fa ogni famiglia a fine mese, quando l’augurio secondo me più vero è quello di lasciarsi provocare da questa festa nelle nostre coscienze per non lasciare nuovamente nella mangiatoia colui che è venuto per noi.

Sicuramente il mio grazie va in primis agli operatori che si spendono in solidarietà, che innanzitutto vuol dire aiutare gli emarginati (famiglie separate, minori, senzatetto, tossicodipendenti, extracomunitari in difficoltà) a ritrovare fiducia in loro stessi ed inserirsi o reinserirsi nella società, in secondo luogo anche cibo, vestiti e coperte. Un’opera infaticabile va di sicuro riconosciuta ai City Angels ed a tutto il capillare mondo dell’associazionismo e volontariato attivo che gravitano come satelliti luminosi nei meandri più bui di una metropoli,che troppo spesso ultimamente ha smesso di brillare in operosità e convergenze di intenti, dimenticandosi che la Pace non è solo una Marcia occasionale che si svolge in Umbria, ma è quanto dovremmo far accadere ogni giorno nei nostri territori.

Mi sento anche di ringraziare questi operatori che cercano di supplire alle carenze educative di tutte le periferie che spesso si sentono collegate al grande centro luminoso di cemento e negozi solo per mezzo di un tram che compie un viaggio lunghissimo, a tutti coloro che sentono di creare relazioni nei quartieri come antidodo alla droga e ai legami familiari carenti, sono loro la vera diga sociale che tiene a fatica insieme i pezzi quando le amministrazioni pubbliche sono distratte a mettere in atto dei provvedimenti, sono loro le ultime coscienze morali rimaste con le rotelle attive in questa città e nella sua provincia, che sembra aver perso la borghesia illuminata che l’ha contraddistinta per anni.

La città non è fatta di soli piani regolatori, o piani di governi del territorio, e di innumerevoli cantieri sparsi a destra e a manca, dove spesso la parte debole e marcia della politica arriva a compromessi con le cosche inquinando la filiera e l’economia. Se guardiamo Milano da un punto di vista nuovo dobbiamo ricordarci che la città ha bisogno di immensi “cantieri sociali”, che vanno realizzati con una mappatura ben definita in cui lavorare e in cui gli spiriti creativi e propositivi debbano innestare la loro opera di cambiamento per smantellare la frammentazione sociale spesso diffusa mista a depressione che si respira in città.

Senza far torto e dimenticare nessuno, faccio anche i miei auguri a chi è fuggito senza casa né parenti, a chi non ha identità, a chi non conosce onorevoli, deputati, magistrati, e nemmeno un appuntato a cui votarsi, a chi non siede in nessuno Cda, a chi non ha il macellaio che gli conserva la miglior fetta, a chi non ha più una fabbrica aperta in cui tornare, a chi ha la nostalgia di stadi o teatri pieni di sogni ed emozioni da inseguire, agli anziani, a tutto il personale ospedaliero, ai migranti, a chi vive in questo territorio, ai business man, ai separati, a chi è appena entrato in politica, a chi cerca futuro di esame in esame, di colloquio in colloquio, a chi si siede ai tavoli delle trattative rappresentando i lavoratori, e chi oggi si sente piu solo degli altri giorni, -Auguri-

“Riceviamo e pubblichiamo” di Christian Condemi

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Un Buon Natale con la libera connessione WiFi, inizia l’era dell’innovazione tecnologica?

postato il 24 Dicembre 2010

“A Natale puoi fare quello che non hai fatto mai”. Così recita un celebre motivetto reso noto da una pubblicità e così pare si possa dire del Governo che nel “decreto Milleproroghe” rispetterebbe l’impegno preso dal ministro Maroni di mettere fine all’autenticazione obbligatoria per navigare su una WiFi pubblica.

E’ arrivato finalmente il momento per  il nostro Paese di adeguarsi allo standard europeo per quando riguarda il WiFi? Molti commentatori ed esperti della materia sono molto prudenti perché non si conosce ancora il testo del “decreto Milleproroghe” e dunque non si può ancora dire esattamente se il celeberrimo decreto Pisanu sia stato realmente abolito. Da quello che trapela dal governo e dai commentatori più ottimisti pare che dovrebbe saltare l’identificazione del cliente e l’obbligo del gestore di tenere documentazione della navigazione dei clienti, ma rimarrebbe comunque l’obbligo per il gestore di chiedere la licenza al questore.

Bisogna dunque attendere un po’ e sperare che questa non sia solo una pia intenzione natalizia del governo. E’ importante però registrare nell’orientamento del governo  e in generale della classe politica un rinnovato interesse per l’innovazione tecnologica e un impegno serio per chiudere l’era della burocrazia wireless in Italia.

La liberalizzazione del WiFi, oltre che essere un provvedimento necessario per allinearci agli altri paesi Europei, potrebbe essere anche l’occasione per aprire una nuova fase politica di responsabilità come ha giustamente rilevato l’on. Roberto Rao. La liberalizzazione dei WiFi e una nuova stagione politica fatta di responsabilità e serietà potrebbero essere il regalo più grande che la classe politica di questo Paese possa fare agli italiani. Sarà il caso di scrivere una lettera a Babbo Natale? Intanto incrociamo le dita!

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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Tanti auguri Mezzogiorno d’Italia

postato il 24 Dicembre 2010

Auguri agli studenti che manifestano pacificamente in piazza per le loro idee.

Auguri agli agenti dei reparti operativi che sopportano turni massacranti e paga minima ed alle loro famiglie che ogni giorno li assistono e sorreggono.

Auguri agli anziani soli nelle case di riposo ed a quelli, più fortunati, che abbracciano la loro famiglia ogni giorno.

Auguri alle giovani coppie che mettono su casa con coraggio, col groppo in gola, pensando al futuro.

Auguri ai malati che passeranno il Natale nei nostri ospedali  grazie alle cure amorevoli dei medici e degli infermieri di turno.  Auguri anche a loro.

Auguri ai detenuti nelle carceri sovraffollate ed ai secondini che troppo spesso soffrono di stress da lavoro.

Auguri ai poveri che, ancora pochi per fortuna, dormono nelle nostre strade.

Auguri ai volontari che, come Atlante, sorreggono il peso di un mondo intero sulle loro spalle.

Auguri ai ricercatori, motore immobile della nostra Università, perché venga finalmente riconosciuto il loro merito.

Auguri a tutti i servitori dello Stato, magistrati, carabinieri, finanzieri, insegnanti, fino all’ultimo dei precari, perché ogni giorno combattono senza paura una guerra contro la corruzione ed il malaffare.

Auguri a tutti quelli che quest’anno hanno visto chiudersi le porte in faccia, con l’augurio che il prossimo anno spalanchi loro i portoni del successo.

Finito un 2010 difficile ci stringiamo alle famiglie, a quei padri ed a quelle madri che hanno perso il lavoro, che sono in cassa integrazione o hanno perso la loro attività strozzati dai debiti o dalla crisi, agli alluvionati siciliani e veneti, ai terremotati di oggi ed a quelli che da vent’anni aspettano ancora giustizia.

Auguri all’Italia ed alla Sicilia.

Auguri alla Sicilia, perché nel prossimo biennio deve dimostrare di essere diventata “grande”. Perchè gli arresti eccellenti di numerosissimi latitanti e delinquenti devono essere prodromo di crescita sana e sviluppo.

Auguri alla Sicilia che lavora perché attraverso l’uso corretto dei Fondi Europei potrà realizzare le infrastrutture che le mancano.  Perché finalmente si dovrà puntare su progetti di ampio respiro e non sulla cura del proprio orticello.

Auguri a chi denuncia il pizzo, a chi ogni giorno compie la normalità del suo dovere senza farlo pesare, a chi da eroe silenzioso aiuta gli altri senza chiedere in cambio nulla e nell’anonimato, a chi sostiene le arti e la ricerca, a chi devolve il proprio tempo ad opere pie, a chi si impegna, a chi rispetta le regole e non prevarica gli altri.

Prepariamoci, perché verranno tempi migliori,

Il tempo può avere un parto difficile, ma non abortisce mai.
Felicité-Robert de Lamennais

“Riceviamo e pubblichiamo” di Carmelo Cutrufello

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Un augurio a tutti i docenti

postato il 24 Dicembre 2010

Auguro a tutti gli insegnanti, di ogni ordine e grado, supplenti, neo-assunti e precari di giungere a una concreta stabilità lavorativa. Il contesto sociale odierno, in continua metamorfosi, ha tentato in più occasioni di screditare questa figura professionale che ha trovato, e trova tuttora, motivo di esistere nella sua mission educativa.

Creatività, passione e amore per il sapere sono le stelle polari che guidano il docente  in un ambiente scolastico e lavorativo insidioso e a volte ostile. Umanità, confronto e scambio sono sintomo di crescita che costantemente, con fatica – poiché osteggiati da troppa burocrazia – e dinamismo emergono negli ambienti scolastici, alimentati dal “popolo della conoscenza”. Auspicando un futuro migliore, dove le uniche intermittenze siano le luci che con il loro bagliore colorano le notti delle feste e non più i contratti lavorativi di questo corpo docente pieno di speranze.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Enrico Bocciolesi

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La Bielorussia di Lukashenko

postato il 22 Dicembre 2010

Il voto in Bielorussia ed il ruolo del Paese nello scacchiere Euro-russo.

Domenica 19 dicembre, in un paese di fatto europeo, ma che in pratica sembra rimanere un antico relitto di era sovietica, si sono svolte le elezioni per il rinnovo del mandato presidenziale.

La Bielorussia (detta anche Russia Bianca), è uno stato abitato da poco meno di 10 milioni di persone, che per la propria posizione geopolitica, ricopre un interesse particolare tanto nelle cancellerie europee quanto al Cremlino. Ad uscire vincitore da questa tornata elettorale è l’intramontabile presidente Lukashenko, in carica ininterrottamente dal 1994 e giunto, con questa discussa rielezione, al suo 4 mandato.

I dati sulla vittoria sembrerebbero schiaccianti: il presidente uscente avrebbe ottenuto l’80% dei voti, con un’affluenza alle urne intorno al 90% degli aventi diritto. Cifre e percentuali plebiscitarie, che hanno fatto sorgere fortissimo il sospetto negli osservatori internazionali (Organizzazione per la Cooperazione e Sicurezza in Europa – O.C.S.E. – in testa) di pesanti brogli nella regolarità delle elezioni. Sospetto corroborato dall’esplosione di violenza seguita alla dichiarazione dei risultati nella serata del 20 dicembre. Nel corso dei tumulti di piazza sarebbero state arrestate circa 600 persone. Fonti giornalistiche affermano che tra i feriti vi sarebbe anche il leader dell’opposizione, Niklajev, trasportato in ospedale. Un giro di vite sull’opposizione denunciato anche da Amnesty International.

La principale differenza tra queste e le precedenti consultazioni elettorali si fermano sostanzialmente al numero dei candidati: ben nove sfidanti, cui è stato persino concesso qualche spazio televisivo. La Bielorussia rimane lontana anni luce dagli standard minimi di democrazia europei. Nonostante ciò, i rapporti con i paesi dell’Eurozona si sono progressivamente distesi nel corso degli anni, nel corso degli anni ’90 infatti, il regime bielorusso arrivò ad espellere i diplomatici europei e statunitensi in un crescendo di tensione che pose fine per quasi un decennio ai rapporti diplomatici.

Il ritorno della Russia al suo antico splendore neo-imperiale, ha imposto ai paesi europei un approccio informato ad una linea di politica estera realista anche perché il paese si trova in uno snodo energetico e militare strategico.

I rapporti col vicino russo sono ottimi, salvo sporadici incidenti dettati dalla volontà di Lukashenko di affrancarsi dalla invadente influenza del potente confinante, l’economia bielorussa rimane a tutt’oggi legata a doppio filo con Mosca. L’industria nazionale, eredità sovietica, posta sotto il controllo dello stato, si basa quasi esclusivamente sulle materie prime e sulle commesse russe. Il paese dipende totalmente dal vicino per le importazioni di gas, che viene raffinato in loco per poi essere rivenduto ai paesi dell’Unione Europea, garantendo un buon margine di profitto.

Il sistema difensivo russo e bielorusso sono profondamente integrati; gran parte delle forniture militari provengono da interscambi tra i due paesi, che si dimostrano essere solidi alleati. Mosca tuttavia non perde mai occasione di ribadire la propria supremazia all’interno dell’alleanza ogniqualvolta il piccolo cugino si allontani dagli schemi.

Lukashenko ha infatti compreso la valenza strategica del suo paese, aprendosi ai leader europei. Le risposte sono state formalmente molto timide: l’unico a far visita all’ultimo dittatore rimasto in Europa, nel 2009, è stato il nostro Presidente del Consiglio, che proprio in quell’occasione ha ribadito di essere sbalordito da quanto i bielorussi amino il proprio leader. Un commento troppo generoso, come riconferma l’odierna situazione politica del paese; certamente fuori luogo, se non proprio preoccupante, quando a pronunciarlo è un leader di una democrazia occidentale.

Berlusconi ha cercato di utilizzare come canale la tanto millantata amicizia personale con Putin per favorire il passaggio della Bielorussia dell’odierno isolamento ad una prospettiva più europeista, mantenendo sempre un occhio di riguardo agli interessi russi nel paese. Il Cremlino, tuttavia, non si è dimostrato molto disponibile nel consentire una progressiva apertura dell’alleato alle potenze europee. La partita resta aperta, con i paesi dell’U.E. che incentivano maggiore collaborazione, anche sul piano dei diritti umani, garantendo come contropartita aiuti economici.

L’economia bielorussa, nonostante un progressivo incremento negli ultimi anni, resta ben lontana dagli standard europei. Il sistema è in gran parte controllato dallo Stato. La stabilità del paese, come in molti regimi illiberali, rimane ancorata allo sviluppo economico. Questo è tuttavia messo a dura prova dall’accerchiamento strategico in cui il paese rischia di trovarsi, stretto tra un’Europa che corteggia l’ultimo dittatore pur non volendo avere nulla a che fare con la disapprovazione che questo rapporto innesca in ogni paese democratico, ed una Russia che cinge il braccio intorno al collo dell’amico ed alleato Lukashenko, sussurrandogli all’orecchio che in fondo, come i cugini russi sono artefici della sua fortuna, alla stessa maniera ne possono decretare la fine.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Federico Poggianti

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Giovani, università, futuro: una pagina di Don Milani ci salverà

postato il 20 Dicembre 2010

Migliaia di giovani sono riuniti nelle scuole e nelle università occupate per progettare e pianificare la protesta contro la riforma del ministro Gelmini. Questi giovani sono guardati talvolta con occhio benevolo, specie da chi condivide la maledetta precarietà, ma il più delle volte con biasimo paternalista se non con esplicito disprezzo da chi in questo momento detiene il potere e più in generale da quel mondo degli adulti che è ampiamente responsabile del furto di speranze e futuro.

A questi giovani che si appassionano, che vogliono urlare la loro rabbia contro i ladri di futuro vorrei potesse tornare a parlare don Lorenzo Milani. Il Priore di Barbiana se fosse vivo, si scrollerebbe di dosso l’inutile aureola veltroniana e con la sua tonaca consunta si presenterebbe in un’aula per dire una parola ferma e chiara ai giovani e per dare un sorriso paterno che sa di Dio. Prima di dire qualcosa don Milani appenderebbe alla parete dell’aula il famoso cartello con il motto dei giovani americani “I care” per ricordare a tutti  nella scuola, nell’università e nella vita che è necessario interessarsi, appassionarsi, prendere a cuore. Poi direbbe a questi giovani che “dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole)”  e che “quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siamo cambiate”. Gli ricorderebbe anche che la Costituzione offre loro due leve per cambiare le cose cioè il voto e lo sciopero, ma che faranno cosa ancora più grande se con la parola e l’esempio riusciranno a far cambiare idea a tanti. Prima di lasciarli partire per la piazza farebbe l’ultima raccomandazione ricordando a ciascuno di loro che sono tutti sovrani e che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto, e con una benedizione nel cuore e lo sguardo di un padre gli direbbe che la vita è un bel dono di Dio non va buttata via e buttarla via è peccato.

Purtroppo in queste ore nelle aule dove gli studenti sono riuniti in assemblea non entrerà nessun don Milani per ascoltarli e dialogare con loro e resteranno soli a rimestare gli insulti di La Russa e le farneticazioni di Gasparri, e poi sarà ancora piazza, sarà scontro, sarà un urlare più forte contro chi non vuole nemmeno sentire, nella speranza che l’Italia, che già piange il dialogo, non debba versare le proprie lacrime sul sangue di uno studente o di un poliziotto.

Cari studenti, in queste notti passate a scuola o all’università trovate il tempo per leggere una pagina di don Milani, fatevi scuotere da quel prete-maestro di montagna che ha ancora da dirci qualcosa sulla politica, sulla scuola e sulla vita; e alla manifestazioni brillerete di luce diversa perché non sarete una vile teppaglia ma cittadini sovrani che reclamano futuro, giustizia e libertà.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

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