Tutti i post della categoria: In evidenza

Chi vince e chi perde in questi giorni convulsi di Borsa

postato il 12 Luglio 2011

In questi giorni l’Italia rischia di dover dichiarare fallimento (default), a causa di un sentimento di sfiducia verso la tenuta dei nostri conti pubblici. Ma in caso di default, chi paga? Sicuramente lo Stato italiano e i suoi cittadini: aumentare lo spread, ovvero la differenza con i Bund tedeschi, significa che l’Italia paga più interessi sul debito pubblico e quindi lo Stato ha bisogno di aumentare le entrate o tagliare le spese. Chiaro che aumentare le entrate o tagliare le spese, significa colpire cittadini e imprese.

E se andassimo in default? Basta vedere la Grecia: stretta molto dura su pensioni e stipendi statali, tagli selvaggi nei servizi, solo che il debito pubblico italiano è molto più grande. Per intenderci, pagare 1% in più o in meno sul debito pubblico italiano significa pagare circa 18 miliardi di euro (calcolando l’1% su tutto il debito pubblico italiano, ovviamente sto semplificando). Se consideriamo che nei prossimi 5 anni, bisogna rinnovare almeno 900 miliardi di euro di debito pubblico, ecco che noi parliamo, con un differenziale del 3%, di circa 27 miliardi di euro in più o in meno da pagare rispetto ai titoli di stato tedeschi e rispetto ai tassi di interesse della BCE. Sono soldi che paghiamo noi tutti e quindi noi perdiamo.

E chi ha vinto in questi giorni?

Dire che qualcuno ha vinto è ovviamente una esagerazione, ma serve a rendere l’idea, e questa persona è il ministro Tremonti. Appena sono comparse delle intercettazioni e l’ipotesi che Tremonti potesse seguire la stessa strada di Scajola (che si dovette dimettere), ecco che è iniziata la crisi. Le date coincidono. Perché?

In fondo nei giorni e nelle settimane precedenti erano spuntate intercettazioni e vi erano le udienze a carico di Berlusconi, ma non avevano assolutamente turbato i mercati. Neanche i problemi con la Lega avevano scosso i mercati. La risposta è semplice: i mercati percepiscono come garante della tenuta dei conti il ministro Tremonti, senza di lui, per i mercati, la tenuta non sarebbe più garantita perché Bossi e Berlusconi inizierebbero ad elargire solo per recuperare un minimo di consenso. Basti pensare alla vicenda delle quote latte che si trascina da anni: paghiamo una multa poco superiore al miliardo di euro solo perché pochissimi allevatori hanno sforato le quote, non pagano le multe e non si rimettono in riga, perché sono elettorato leghista e sono tutelati dalla lega.

Alcuni giorni fa si vociferava che vi fosse la rottura tra Tremonti e Berlusconi, ebbene, si è capito che Berlusconi è, per i mercati internazionali, assolutamente ininfluente, non conta nulla. Nella scena politica del centrodestra la parte del leone -dell’unico inamovibile- la recita Tremonti. Tutti gli altri, Berlusconi e Bossi compresi, sono sostituibili.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Commenti disabilitati su Chi vince e chi perde in questi giorni convulsi di Borsa

Riceviamo e pubblichiamo, l’economia non era in ripresa?

postato il 12 Luglio 2011

Lo sò che non è il momento per fare polemiche sterili, ma la situazione non era sotto controllo? L’economia non era in ripresa ?
Non era vero che l’Italia non correva nessun rischio di finire come la Grecia? Tremonti non era l’orco che non voleva allentare i cordoni della borsa? E ora invece? Scopriamo di essere anche noi nei guai e che finora il Governo ci ha raccontato solo balle per far credere che stava facendo bene! Ora, come al solito siamo noi a dover avere il senso di responsabilità e dello Stato. Non sarebbe più responsabile che il capo del governo la smetta di accanirsi contro il Paese e contro tutti? Certo che di occasioni per mostrare un briciolo di responsabilità ne ha avute molte, tutte sprecate ovviamente. Se come al solito la croce ce la dobbiamo addossare noi, Amen, ma almeno facciamolo pesare politicamente.

Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Lauria

1 Commento

Default dell’Italia: come evitare il fallimento dei titoli di Stato?

postato il 11 Luglio 2011

In questi giorni, i media hanno lanciato l’allarme su un possibile default dei titoli di Stato italiano (i BOT, BTP, CTZ e così via), e quindi che l’Italia possa fare la fine della Grecia.

E’ possibile che avvenga ciò? E come si può evitare questo rischio?

Prima di rispondere a queste domande, credo che sia doveroso partire da alcune spiegazioni, necessarie per quanti non masticano la terminologia finanziaria.

Intanto iniziamo dal termine default: un vocabolo inglese che indica quando un debitore non può più pagare gli interessi o, peggio, non può restituire il capitale avuto in prestito.

Adesso spieghiamo alcuni concetti base, ovvero lo spread tra il BTP e il Bund. Terminologie che credo possano essere oscure a quegli italiani che non hanno dimestichezza con l’inglese e con la finanza.

Quando si parla di spread tra il BTP e il Bund, si parla della differenza di prezzo che esiste tra il BTP (titolo di stato italiano) e il Bund (titolo di stato tedesco). Quando questa differenza è alta, significa che i mercati hanno sfiducia verso i titoli di stato italiani, e quindi li valutano meno dei Bund. La conseguenza è che il BTP, per tornare ad essere appetibile, deve pagare un interesse più alto rispetto all’omologo tedesco.

Siete confusi? Non siatelo abbiamo quasi finito con le spiegazioni, restano gli ultimi termini da spiegare e per essere precisi si tratta di spiegare “la vendita allo scoperto” e i “CDS”.

I CDS sono i Credit Default Swap, e sono una sorta di assicurazione contro il rischio di fallimento. In pratica supponiamo che acquisti dei titoli di stato italiani, e che voglia coprirmi dal rischio di fallimento. Per fare ciò, compro dei CDS, ma, ovviamente, se il rischio di fallimento è alto, chi mi assicura vorrà essere pagato di più. In pratica più alto è il rischio di fallimento, più bisogna pagare per assicurarsi contro il rischio di perdere i soldi in seguito al fallimento, proprio per questo gli specialisti seguono l’andamento dei CDS: se questi aumentano di valore, significa che il paese (nel nostro caso l’Italia) aumenta il rischio di dovere dichiarare bancarotta.

L’ultimo termine è “vendite allo scoperto”: in pratica con questo termine si indica la possibilità di vendere dei beni che non si possiedono. Come è possibile questa alchimia? Nulla di complicato: basta che qualcuno mi presti quello che voglio vendere (ovviamente io pagherò questo servizio). In pratica supponiamo che io venda allo scoperto dei BTP, in questo caso qualcuno (di solito una banca) mi “presta” questi titoli. Supponiamo quindi che io li venda a 100 euro. A questo punto io inizio a pagare il servizio, inoltre entro una certa data io devo restituire i titoli che mi hanno prestato.

Supponiamo che nel frattempo, il BTP sia sceso a 90, lo compro e lo restituisco alla banca. Cosa è successo? E dove ho guadagnato? Semplice: ho venduto a 100 il BTP, poi l’ ho riacquisto a 90. Quindi entrano 100 euro, e successivamente ne escono 90, facendo la sottrazione mi restano 10 euro che è il mio guadagno (se invece il BTP sale, supponiamo fino a 110, io perderò 10). La banca invece ritorna in possesso dei titoli prestati e guadagna l’interesse che io pago per il prestito suddetto.

Ora che abbiamo smontato alcuni dei termini tecnici, torniamo alle domande iniziali: è possibile che l’Italia possa fallire? E come evitare questa ipotesi?

Il rischio concreto c’è, certo l’Italia ha una economia più solida della Grecia, ma nonostante questo, secondo il Financial Times il rischio è concreto e infatti gli hedge funds (fondi altamente speculativi) americani scommettono al ribasso contro i bond italiani. Anzi, il Financial Times scrive: “I fondi speculativi di New York stanno piazzando massicci ordini scommettendo sul calo dei titoli di stato emessi dal governo italiano, shortando direttamente i bond della terza maggiore economia dell’eurozona”.

Il Financial Times mette in evidenza che Venerdì i rendimenti dei titoli di stato italiani hanno toccato il più alto livello dall’ottobre 2002 e la motivazione pare essere legata all’affiorare di tensioni la scorsa settimana tra Silvio Berlusconi, il primo ministro, e Giulio Tremonti, il ministro delle Finanze dell’Italia, sulla proposta di piano di austerità del paese.

Shortare direttamente titoli governativi, è considerato più rischioso del comprare l’assicurazione sul default (CDS, cioè credit default swaps), visto che il venditore short deve evidenziare il possesso degli specifici titoli per completare la transazione. Il mercato italiano dei bond, comunque, è altamente liquido, e prima della crisi finanziaria shortare i bond dell’Italia era una strategia comune.
Il problema è che il governo italiano deve ancora emettere più della metà del totale di bond da emettere nel 2011, a questo punto dell’anno un ammontare maggiore della norma. E’ vero che l’Italia ha un deficit di bilancio inferiore a zero, ma il paese deve rifinanziare 900 miliardi di euro di debito sovrano che matureranno nei prossimi cinque anni.

Stiamo parlando di una cifra altissima e basterebbe che qualche asta dei titoli di stato italiani andasse deserta per mettere nei guai l’Italia.

Come si può evitare che continui questa tensione sui titoli di stato italiani? La prima mossa è mettere dei vincoli sulle vendite allo scoperto, ma questa mossa è solo momentanea e non risolve certo il problema, serve solo a tamponarlo.

La vera soluzione è riuscire a diminuire il debito pubblico, e questo si può fare solo stimolando la crescita e trovando i soldi necessari per coprire gli investimenti e ridurre il debito, magari tagliando le spese inutili. Come fare ciò? Le armi sono due: lotta seria e dura all’evasione fiscale e all’economia in nero, e avviare un dialogo serio e costruttivo tra opposizioni e governo, come sta facendo per ora Obama per evitare che il default colpisca gli USA (che sono effettivamente a rischio). Ma perché si possa avviare questo dialogo non servono i proclami, servono i fatti e abbandonare la visione individualista che anima l’azione della Lega (che pensa solo al suo orticello) e la visione persecutoria che anima Berlusconi (che vede nemici e complotti ovunque). Gli usa hanno un problema: nel 2012 vi sono le elezioni, ciò sta limitando il dialogo tra governo e opposizioni. L’Italia ha un anno in più, le prossime elezioni sono nel 2013, quindi se si agisce con tempestività si può portare avanti una seria riforma economica, ma perché ciò avvenga bisogna agire tempestivamente.

Sarà possibile?

Mario Pezzati

3 Commenti

I fondi sequestrati alla mafia vadano allo sviluppo territoriale

postato il 10 Luglio 2011

Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nella sua ultima intervista, rilasciata nell’agosto 1982 a Giorgio Bocca per la Repubblica, sottolineava che “la mafia non è soltanto una questione criminale fine a se stessa, ma anche economica e sociale”, così dicendo pose le premesse di una lotta alla mafia che colpisse anche gli interessi economici e le ricchezze accumulate con i traffici illegali. Da allora tanto si è fatto e grazie ad una legislazione ad hoc e al lavoro congiunto della magistratura e delle forze dell’ordine si è potuto colpire ripetutamente gli interessi economici mafiosi e, soprattutto, è iniziata una preziosa opera di confisca e reimpiego di beni e di denaro sottratti alla criminalità. Le somme di denaro e dei proventi derivanti dai beni confiscati attualmente affluiscono al Fondo Unico Giustizia, che va distinto dal Fondo Unico di Amministrazione, ed è disciplinato dall’art.61, commi 23 e 24, del D.L. 25.6.2008 n. 112 (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, L. 6 agosto 2008 n. 133) e dall’art. 2 del D.L. 16 settembre 2008 n. 143 (convertito don modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181). Nel Fondo Unico Giustizia arrivano le somme sequestrate nell’ambito di procedimenti penali o per l’applicazione di misure di prevenzione (ordinarie o antimafia) o di irrogazione di sanzioni amministrative ed i proventi derivanti dai beni confiscati nell’ambito di procedimenti penali, amministrativi o per l’applicazione di misure di prevenzione.

L’art. 2 del D.L. 16 settembre 2008 n. 143, convertito in legge con modifiche il 5.11.2008, ha ampliato il contenuto del Fondo in quanto ha stabilito che in esso confluiscono anche:

  • le somme di denaro ovvero i proventi relativi a titoli al portatore, a quelli emessi o garantiti dallo Stato anche se non al portatore, ai valori di bollo, ai crediti pecuniari, ai conti correnti, ai conti di deposito titoli, ai libretti di deposito e ad ogni altra attività finanziaria a contenuto monetario o patrimoniale oggetto di provvedimento di sequestro nell’ambito dei procedimenti penali o per l’applicazione di misure di prevenzione o di irrogazione di sanzioni amministrative;
  • le somme di denaro ovvero i proventi depositati presso Poste Italiane S.p.A., banche e altri operatori finanziari, in relazione a procedimenti civili di cognizione, esecutivi o speciali, non riscossi o non reclamati dagli aventi diritto entro cinque anni dalla data in cui il procedimento si è estinto o è stato comunque definito o è divenuta definitiva l’ordinanza di assegnazione, di distribuzione o di approvazione del progetto di distribuzione ovvero, in caso di opposizione, dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia.

La gestione del Fondo Unico Giustizia è affidata ad Equitalia Giustizia S.p.A.ed ha la finalità di finanziare: a) il Ministero dell’Interno per le attività di tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico; b) il Ministero della Giustizia per il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali; c) il bilancio dello Stato. In particolare il testo emendato dell’art.2 del DL143/08 specifica che le risorse del Fondo unico Giustizia, anche frutto di utili della loro gestione finanziaria, vanno destinate in misura non inferiore ad un terzo al Ministero dell’Interno ed in misura non inferiore ad un terzo al Ministero della Giustizia. Le quote di assegnazione saranno indicate ogni anno con DPCM, di concerto con i Ministri dell’interno e della Giustizia. E’ facile comprendere l’entità delle somme che confluiscono nel Fondo Unico Giustizia, basti pensare che, su oltre 600.000 libretti di risparmio postali aperti per ragioni di giustizia, sono attualmente depositati presso le Poste SPA più di un miliardo e seicentomila euro. Il fatto che queste risorse vengano reimpiegate nel comparto giustizia, e dunque servano in parte a rendere sempre più efficace la lotta contro la criminalità organizzata, è sicuramente una cosa lodevole, ma considerata l’entità delle somme sequestrate e dei proventi derivati dai beni confiscati sarebbe auspicabile che queste venissero impiegate anche per sostenere lo sviluppo economico delle comunità locali e dei territori danneggiati dalle mafie. I loschi affari della criminalità organizzata, oltre che a finanziare attività illecite di ogni tipo, danneggiano seriamente le economie locali che bloccate dal cancro mafioso non crescono con evidenti nefaste conseguenze per il territorio e i cittadini.

Da una terra come la Sicilia, che quotidianamente conta i danni economici provocati dalla Mafia, arriva una proposta in questo senso di cui si fatta promotrice l’onorevole Giulia Adamocapogruppo dell’Udc all’Assemblea regionale siciliana, che ha presentato uno schema di progetto di legge da proporre al Parlamento della Repubblica concernente la destinazione delle somme e dei proventi affluiti nel Fondo Unico Giustizia. Il disegno di legge voto nn. 508-527, approvato dal Parlamento siciliano il 14 aprile 2010, prevede che nel rispetto dei principi del federalismo fiscale il denaro e i proventi dei beni confiscati, affluiti nel Fondo unico giustizia, siano destinati allo sviluppo economico delle comunità locali e dei territori danneggiati dalla criminalità organizzata, con una specifica attenzione per il miglioramento delle infrastrutture, per il sostegno alle forze dell’ordine e per tutti gli altri interventi previsti dalla normativa regionale per il contrasto alla criminalità organizzata (Legge regionale n.15 del 20/11/2008). Qualcuno, specie dalle parti della sede leghista  di via Bellerio, potrebbe storcere il naso davanti alla proposta dell’onorevole Adamo, pensando all’ennesima occasione di spreco alla siciliana,  eppure il progetto di legge della deputata centrista ha dei contorni ben precisi che non solo mettono in pratica, in maniera corretta, i principi del federalismo fiscale ma stabiliscono un prezioso criterio di giustizia per cui le terre penalizzate e depredate dal fenomeno mafioso sono risarcite con infrastrutture, investimenti, caserme e scuole. Non si tratta dunque di togliere fondi al ministero della giustizia o a quello dell’interno, ma la destinazione di queste risorse alle comunità locali afflitte dal fenomeno mafioso risponde ad una logica di lotta alla criminalità che non è fatta esclusivamente dell’azione della magistratura e delle forze dell’ordine ma anche dall’azione di promozione sociale ed economica nella convinzione che la lotta alle mafie si fa anche con una economia libera, con infrastrutture decenti, con case, scuole ed ospedali.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

2 Commenti

La chiesa ambrosiana e il vento dell’accoglienza: un saluto al card. Dionigi Tettamanzi

postato il 8 Luglio 2011

Ricordo la prima volta che l’ho visto- un pomeriggio autunnale di novembre- tutti i giovani ambrosiani e i ragazzi del movimento ministranti della diocesi più grande del mondo (1108 parrocchie e un numero di fedeli superiore ai 5 milioni di persone) erano là. Qualche mese prima avevamo salutato sventolando palme d’olivo a San Siro il card. Carlo Maria Martini che annunziava il suo ritiro in Terra Santa, a riprendere gli studi biblici e gli stessi passi compiuti dal Messia nel Getsemani. Il k-way stava a malapena nel mio zainetto di ragazzo di quinta elementare, inutile in quella giornata solare, la ola che dovevamo realizzare per festeggiarlo ci era riuscita malissimo e dall’alto delle gradinate dell’arena civica -pezzo di storia del rugby milanese degli Amatori- cercavo di scorgere la figura che a momenti doveva fare il suo ingresso. Ricordo un omino non particolarmente alto di statura ma dalla voce calda e tranquillizzante, come quella di un agnello che lasciava subito in mente un segno di serenità.
Era appena entrato Dionigi Tettamanzi, l’arcivescovo della diocesi più grande del mondo.
Se dovessi scegliere un gesto per rappresentare questi nove anni non avrei dubbi: la vendita benefica all’asta della sua collezione privata di presepi per sostenere di tasca propria il Fondo Famiglia Lavoro-fondo istituito per intuizione dello stesso cardinale, o meglio come afferma lo stesso, per un’intuizione dall’alto con lui tramite -un fondo per creare iniziative di sensibilizzazione e solidarietà ed aiutare i lavoratori colpiti dalla crisi e i padri di famiglia rimasti senza lavoro. “Con l’avvicinarsi del Natale – ha spiegato il cardinale presentando l’iniziativa – ho sentito il bisogno di rinnovare l’intuizione che avevo avuto nel 2008. Un’intuizione che veniva dall’alto. Un tratto di strada l’abbiamo fatto, ma gli effetti della crisi sono ancora sotto gli occhi di tutti, e quindi vorrei rilanciare il Fondo con lo spirito e la freschezza con cui ha mosso i primi passi. E come allora mi sono chiesto: io cosa posso fare, io, proprio io?”. In questo modo I volontari della Caritas e delle Acli, che gestiscono  il progetto, hanno potuto aiutare 4.667 famiglie, con assegni da 800 a 4mila euro, a seconda delle necessità.
A mio modo di vedere il card. Tettamanzi ha incentrato la propria opera sul Cristianesimo mostrato da Charles Peguy nel testo “Lui è qui” . L’affermazione strenua del valore del carnale, del temporale e la centralità della categoria di “avvenimento” come chiave di comprensione del fenomeno umano e di un cristianesimo che si rivolge nel profondo ai bisogni, alle debolezze, alla malattie e alle tristezze dell’uomo, lo spirito dell’accoglienza che ha sempre animato la Chiesa di Milano: la tradizione racconta che Sant’Ambrogio, il più grande uomo e vescovo che la chiesa ambrosiana ricordi, non esitò a fondere i calici e i vasi sacri del Duomo e delle chiese della città per pagare il riscatto di alcune popolazioni barbare che varcato il confine dell’Impero Romano avevano devastato Milano e il nord’Italia prendendo in ostaggi donne e bambini. ““Se la Chiesa ha dell’oro non è per custodirlo, ma per donarlo a chi ne ha bisogno… Meglio conservare i calici vivi delle anime che quelli di metallo”.
Ora la Chiesa di Milano, la diocesi più grande del mondo, aspetta il nuovo cardinale Angelo Scola e la vita buona. Come scrive Aldo Cazzullo, una delle prime firme del Corriere della Sera, la sua idea è che il cristianesimo non penalizzi le passioni, i desideri e neppure gli istinti, anzi l’esalta l’umanità e l’attenzione per il vero e per il bello. Facciamoci trascinare da questa atmosfera per praticare la vita buona e cantare tutti insieme “O mia bela madunina”

“Riceviamo e pubblichiamo” di Jakob Panzeri

PER APPROFONDIRE
Il sito della Fondazione Famiglia Lavoro della Diocesi di Milano istituita dal Card. Dionigi Tettamanzi

CONSIGLI DI LETTURA:
-“La vita buona” di Angelo Scola e Aldo Cazzullo. Dialoghi su laicità, scienza e fede, vita e morte alla vigilia del Redentore
-Manuale di Bioetica, Dionigi Tettamanzi

Commenti disabilitati su La chiesa ambrosiana e il vento dell’accoglienza: un saluto al card. Dionigi Tettamanzi

Due calcoli sui BOT, sugli investimenti e sulle nuove tasse del Governo

postato il 7 Luglio 2011

Abbiamo detto di come il governo, aumentando l’imposta di bollo sui conti titoli, penalizzi i piccoli risparmiatori. Oggi vorrei approfondire l’argomento, perché mi rendo conto che sono stato un po’ frettoloso, macchiandomi quindi di una colpa grave, visto che parliamo del risparmio degli italiani e che l’argomento è alquanto complesso.

Partiamo da alcune informazioni di base: sui dividendi che danno BOT, CCT, BTP e titoli azionari, al momento vi sono 3 tassazioni che colpiscono tutti (cassettisti e investitori), e poi il capital gain che colpisce solo gli investitori (con questa categoria considero i risparmiatori che acquistano e vendono titoli, guadagnando sulla differenza di prezzo). Con queste tasse, chi sono colpiti? I piccoli risparmiatori, non certo i grandi patrimoni. Perché? Perché per un grande patrimonio, pagare 39 euro o 120 euro cambia poco nei rendimenti, ma per chi investe 20.000 euro con un rendimento all’1% (caso dei BOT), significa andare in perdita.

Spieghiamo come. Intanto partiamo dal rendimento lordo e ipotizziamo un BOT che rende circa 1,2% l’anno. Se consideriamo un investimento di 20.000 euro, otteniamo un rendimento lordo di circa 240 euro. Adesso a questi 240 euro, dobbiamo togliere: 30 euro di tenuta titoli (per i titoli azionari è pari a 60 euro), 120 euro (come è nella finanziaria) di bollo annuale e scendiamo da 240 euro a 90 euro.

Abbiamo finito? No, perché in realtà il dividendo non è di 240 euro, ma meno, infatti al dividendo lo stato applica una ritenuta alla fonte (una tassa) pari al 12,5% del dividendo, quindi altri 30 euro da pagare. Quindi alla fine abbiamo: 240 euro di introito a cui dobbiamo togliere il 12,5% (quindi 30 euro circa), 30 euro di tenuta titoli, 120 euro di bollo annuale. Quanto resta? 60 euro.

Vi sembra molto? Direi di no, perché per giunta, dobbiamo fare un’altra specificazione: il dividendo lordo (240 euro) va a finire nel calcolo IRPEF e quindi altre tasse.

E se invece di un Bot, consideriamo un BTP decennale? Il BTP con scadenza a 10 anni, rende circa il 5% lordo che su 20.000 euro investiti garantisce un rendimento pari a circa 1000 euro.

Sembra molto? Intanto consideriamo che questi soldi restano “bloccati” per circa 10 anni (a meno di volerli vendere e perdere 1-2% del capitale investito), e ogni anni si percepiscono questi 1000 euro lordi. Ma quanto resta di netto? Riprendiamo i calcoli precedenti e abbiamo 1000 euro lordi a cui sottrarre 125 euro (il 12,55 di ritenuta), 30 euro di tenuta titoli e 120 euro di bollo annuale, e resta un totale di 725 euro, a cui togliere le ulteriori tassazioni dell’IRPEF.

Stesso andamento se consideriamo i titoli azionari (che rendono qualcosina in più, ma hanno maggiori tasse, ad esempio le spese di tenuta titoli raddoppiano e passano a 60 euro). Da questi calcoli diventa evidente che chi subisce il depauperamento maggiore è il piccolo risparmiatore, e andando nello specifico, chi possiamo considerare come piccolo risparmiatore? Se consideriamo gli importi calcolati, ci rendiamo conto che i 20.000 euro investiti sono appannaggio o di un pensionato o di un giovane lavoratore (che in media percepisce poco meno di 1000 euro al mese e non ha molte possibilità di mettere da parte grandi risparmi, visto lo stipendio e il costo della vita). Quindi ad essere penalizzati maggiormente sono le due categorie più “deboli” in Italia: i pensionati e i giovani lavoratori.

E cosa succede se aumentiamo il capital gain? Nel 2009 lo Stato italiano dal capital gain ha preso circa 300 milioni, quindi anche raddoppiandolo e considerando il 2009 lo Stato prenderebbe solo altri 300 milioni aggiuntivi. Ma anche qui, al di là delle ideologie, andiamo a colpire solo i piccoli risparmiatori. Infatti la tassazione del capital gain interessa solo le persone fisiche non imprenditori o, se imprenditori, limitatamente ai beni non appartenenti all’impresa.

Sono esclusi i soggetti che conseguono tali redditi nell’ambito di un’attività commerciale, in quanto per questi ultimi i proventi conseguiti sono attratti per presunzione assoluta nella disciplina del reddito d’impresa, ove non soggetti a ritenuta d’imposta o ad imposta sostitutiva (art. 45 TU). Banche, assicurazioni e investitori professionali (fondi speculativi e fondi di investimento) subiscono la tassazione del regime dichiarativo e quindi sui guadagni derivanti da investimenti di borsa pagano le tasse “aziendali” (Irap e simili) con tassazione al tra il 40 e il 50% degli utili. Da ciò si deduce che, se per una questione ideologica vogliamo aumentare la tassazione del capital gain dal 12,5%, si può fare, ma si sappia che si vanno a colpire i piccoli risparmiatori senza che lo Stato possa incamerare cifre tali da avviare un robusto risanamento dei suoi conti.

Da quanto sopra, non ho voluto considerare le conseguenze per la già debole “industria finanziaria” italiana.

A questo punto, possiamo solo concludere in un modo: se il governo vuole aumentare la tassazione dell’imposta di bollo e portarla a 120 euro, può farlo, ma, se volesse fare una cosa giusta, dovrebbe coinvolgere i grandi patrimoni o quanto meno quelli abbienti, partendo da una cifra di almeno 200.000 euro investiti, proprio per non penalizzare gli italiani non abbienti o addirittura poveri.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

3 Commenti

Abolizione delle province, rabbia e delusione in rete

postato il 6 Luglio 2011

C’è chi ha provato ad ironizzare alla maniera del Bersani di Crozza con un divertentissimo “ragazzi, ma siam pazzi, siam mica qui ad abolire le province”, ma in rete il sentimento prevalente riguardo alla mancata abolizione delle province è la rabbia, in particolare verso il Partito Democratico che in aula si è clamorosamente astenuto. E’ soprattutto la base del Pd a farsi sentire sul web. Su Twitter c’è chi va giù duro sulla dirigenza del Pd: “soliti idioti”“politicanti in standby”“quaquaraquà”, qualcun altro si rivolge direttamente a Rosy Bindi chiedendole di non indignarsi solo per Berlusconi ma anche per come votano in Parlamento. Poi ci sono i delusi come la giornalista Ilaria D’Amico che parla esplicitamente di “brutta figura”, o un giovane di Lodi che rivolge un lapidario invito a Bersani: “volete cambiare l’Italia? Guardate Twitter, quello che la gente pensa sulle province. E che cavolo, ascoltateci una buona volta!”.

Su Facebook l’aria che si respira non è differente e mentre sorgono pagine e gruppi che chiedono l’abolizione delle province, le pagine ufficiali del Pd, di Pierluigi Bersani, di Rosy Bindi e di altri dirigenti democratici, sono prese d’assalto da militanti inferociti che chiedono conto del comportamento dei propri dei parlamentari. Interpreti del malessere dell’elettorato democratico sono  i blogger più vicini al centrosinistra. Metilparaben di Alessandro Capriccioli liquida il comportamento in aula del Pd con un secco “è semplicemente penoso”, Alessandro Gilioli dal suo “Piovono rane” rievoca per Pdl e Pd il celeberrimo “hanno le facce come il…” del giornale satirico “Cuore”, mentre Pippo Civati ammette la figuraccia e pone qualche dubbio sulla capacità del Pd di essere realmente una forza di cambiamento e di governo. I delusi dal Pd hanno però anche parole di elogio per chi si è battutto con coerenza, tanto che un medico su twitter lancia una proposta: “tutti a votare Pier Ferdinando al prossimo giro?”.

Adriano Frinchi

Commenti disabilitati su Abolizione delle province, rabbia e delusione in rete

Uno sguardo ad una finanziaria miope e penalizzante

postato il 6 Luglio 2011

Berlusconi afferma che con questa finanziaria il Governo non mette le mani nelle tasche degli italiani e ha ragione: perché il governo dovrebbe sporcarsi le mani a “scippare” gli italiani se può comodamente incaricare altri? Il trucco è semplice: si dichiara che lo Stato chiede di meno o non chiede affatto, ma poi prende i soldi o effettua tagli, in modo che siano altri soggetti a prelevare dagli italiani. Il risultato? Che Berlusconi potrà dire che se le tasse aumentano o i soldi degli italaini diminuiscono, non è colpa sua.

Caro Presidente, forse non lo sa, ma l’Italia non è abitata da fessi o “boccaloni”, ma da gente che è capacissima di ragionare. A tal proposito diamo uno sguardo a questa “bella” finanziaria munendoci di una calcolatrice (anche quella del cellulare va bene, o anche carta e penna). Iniziamo da un piccolo provvedimento “sganciato” dalla finanziaria: la settimana scorsa hanno aumentato le accise sulla benzina di complessivi 6 centesimi al netto di iva. Quindi, in auto, si spendono 6 centesimi (più iva) per ogni litro di benzina. Quanto incassa in più lo Stato? Nel 2010 sono stati venduti circa 30 miliardi di litri di benzina; se moltiplichiamo questo quantitativo di benzina per i famosi 6 centesimi (più iva) otteniamo circa 2 miliardi di euro in più l’anno. Quindi con questo provvedimento otteniamo tre risultati: lo Stato aumenta i suoi incassi per il 2011 di circa 1 miliardo di euro, e dal 2012 di ben due miliardi di euro; otteniamo che aumenta l’inflazione diretta e indiretta (il costo della benzina è conteggiato nei panieri istat per l’inflazione e incide sui costi finali dei trasporti di merci) che è vista come il fumo negli occhi dalle autorità europee; e terzo risultato, il cittadino spende di più. Certo, formalmente il di più, noi lo paghiamo alla pompa di benzina, ma questi soldi in più vanno tutti allo Stato; quindi chi è il responsabile dell’aumento? Ovviamente il Governo che aumenta le accise.

E cosa dire della tassazione, anzi della patrimoniale, che lo Stato impone sui risparmi? Tra il 2011 e il 2014, l’aumento dell’imposta di bollo sui conti titoli porterà alle casse dello Stato, circa 8 miliardi di euro aggiuntivi, che saranno pagati dai cittadini. Questo lo dice lo stesso Governo, come si desume dalla bozza della relazione tecnica alla manovra da 47 miliardi, ancora sotto esame del Quirinale che dice testualmente: “L’incremento dell’imposta di bollo a 120 euro per gli anni 2011 e 2012 e a 150 euro per i depositi sotto i 50.000 euro (380 euro per i depositi con valore superiore a 50.000 euro) a decorrere dall’anno 2013, determina un incremento di gettito su base annua di circa 892 milioni di euro annui per i primi due anni e di circa 2.400 milioni di euro per gli anni a partire dal 2013”.

Se adesso facciamo due conti e ipotizziamo un pensionato che ha 25.000 euro investiti, supponiamo in un BTP, abbiamo che a fine anno con un tasso di interesse del 3% ottiene 750 euro lordi (da inserire nell’IRPEF), e pagherà 120 euro di bollo, con il risultato di un guadagno di circa 630 euro lordi. Se consideriamo imposte varie, il “guadagno” decresce ulteriormente. E non è che le cose cambino molto se consideriamo un investimento in azioni o in fondi di investimento. Nel tempo, la nuova imposta di bollo dovrebbe produrre 721 milioni nel 2011, 1,3157 miliardi nel 2012, 3,5813 miliardi nel 2013 e 2,4 miliardi a partire dal 2014.

Altro punto critico è l’aumento dell’IRAP per banche e assicurazioni che rischiano di rivalersi poi sui clienti: l’aumento dell’Irap dal 3,9% al 5,9% per le compagnie assicurative “va oltre la logica della partecipazione e dei sacrifici comuni” afferma Fabio Cerchiai, presidente dell’Ania (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici), all’assemblea annuale dell’associazione, il quale spera nel corso della valutazione della manovra, questo provvedimento venga rivisto, in quanto “fuorviante e incoerente con il rilancio”.

E le stesse cose sono affermate anche dal presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, che addirittura ha usato il termine “punto di non ritorno” per quanto riguarda l’imposizione fiscale, soprattutto se si considera che le banche e le assicurazioni italiane hanno ampiamente superato gli stress test degli enti governativi, ma il provvedimento dello Stato rischia di mettere sotto pressione la tenuta dei conti degli istituti italiani.

E a tal proposito, nel corso dell’assemblea nazionale dell’ANIA è emerso che è davvero interesse generale promuovere il risparmio di lungo termine, in qualunque forma esso sia investito, purtroppo tutto ciò non è stato minimamente previsto dal governo: la manovra si è dimostrata poco lungimirante perché preleva solamente e fa poco per lo sviluppo.

Mi si consenta un’ultima notazione: in questi giorni si parla di una “norma salva Fininvest”, almeno secondo l’opposizione. Mentre per il governo si tratta di una norma che tutela tutte le aziende italiane. In sostanza, vi è un procedimenti giudiziaro tra Finivest e la CIR di De Benedetti, durante il quale Finivest è stata condannata a pagare circa 700 milioni di euro. Ovviamente Fininvest ha subito presentato ricorso, ma l’attuale normativa stabilisce che «il ricorso per Cassazione non sospende l’esecutività della sentenza» di secondo grado, lasciando tuttavia al giudice la facoltà di disporre «che l’esecuzione sia sospesa o che sia presentata congrua cauzione». Con la modifica viene meno il potere discrezionale del giudice per le condanne superiori a 20 milioni di euro, imponendogli di disporre la sospensione dell’esecuzione della sentenza d’appello se la parte ricorrente «presta idonea cauzione».

Per l’opposizione è una norma che salva l’azienda del Premier, mentre per il governo è una norma che tutela tutte le aziende. Ebbene, la mia osservazione è questa: se davvero questa norma non è stata studiata per favorire Fininvest, allora il Premier o chi per ora dirige l’azienda, faccia la scelta coraggiosa di non avvalersi di tale norma. Questa scelta meriterebbe il plauso di ognuno e fugherebbe tutti i sospetti.

Ma il Premier, avrà un simile coraggio?

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

1 Commento

Emergenza lavoro, il Cardinale Angelo Bagnasco in Basilicata. Benvenuto!

postato il 6 Luglio 2011

«Il problema dell’occupazione non è calato, ma, semmai, accresciuto. E i timori non sono ingiustificati». Queste parole di S. E. il Cardinal Angelo Bagnasco, nella giornata in cui il  presidente della Cei sarà in visita a Melfi per l’inaugurazione del Museo Diocesano, si mostrano di straordinaria (e drammatica) attualità se rapportate alla situazione occupazionale lucana, alla luce anche di una nuova e accresciuta questione meridionale che vede in noi giovani le prime vittime.

E infatti insindacabile il dato dell’aumento della disoccupazione giovanile nella nostra Regione e di conseguenza dei giovani che né hanno un lavoro né svolgono un’attività di studio o formazione, i cosiddetti NEET ( Not in Education, Employment or Training).

La generosa disponibilità che oggi ci viene dalla presenza in Basilicata di S.E. il Cardinal Bagnasco ci deve portare ad avviare un confronto sui temi di più stretta attualità, partendo dalla passione e dal quotidiano impegno professionale e le personali capacità – prima di tutti quella di leggere in filigrana il presente che oggi caratterizzano i giovani, in particolar modo i giovani dell’UdC.

È giunto il tempo del riscatto sociale, economico e politico di un Sud troppe volte pensato da altri o lasciato al corso degli eventi, tornato ad essere nuovamente terra di emigrazione. È il testimoniare una propria dimensione di impegno che non ha pretese di autosufficienza, ma ri-cerca l’altro, l’insieme. È un avanzare proposte, creare relazioni, fare squadra per capire il presente e preparare il futuro di una Basilicata, che pur negli evidenti progressi di questi anni, sconta ancora secolari ritardi e incertezze; senza però aver tradito quella ricchezza di capitale sociale, di cui parlava Putnam.

In questa prospettiva di ripartenza, la presenza di S. E. il card. Bagnasco assume, dunque, un valore simbolico ben preciso: la conferma della particolare attenzione della comunità ecclesiale nazionale nei confronti del Mezzogiorno, ripresa in quello straordinario documento che è: “Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno.”

Qualsiasi progetto di riscatto della Basilicata, rispetto al dato Paese, non potrà non fare appello al ruolo e al contributo della Chiesa, così come a quel “laboratorio civile” rappresentato dall’associazionismo lucano. In questo senso, da giovane impegnato in politica, sono grato alla Cei ed ai vescovi lucani per i costanti moniti sull’imprescindibilità dell’impegno educativo per qualsivoglia traiettoria di condivisione e di costruzione di un’agenda di speranza per il futuro. Da parte dei Giovani UdC, la ricerca di una visione unitaria dei problemi, delle priorità, delle direzioni di marcia e dei tempi costituisce, già da tempo, il contenuto del dovere, come movimento giovanile politico, di ascolto e risposta alle preoccupazioni e speranze dei nostri coetanei lucani.  Per vincere la percezione di solitudine di chi sperimenta un’esperienza di impegno politico, occorrono una preparazione e un’azione adeguate, se non si vuole poi che la chiamata a «una nuova generazione di cattolici» impegnati nella sfera pubblica non rimanga, alla fine, un grido nel deserto.

Nel giorno in cui si ricorda la figura di Santa Maria T. Goretti, voglio esprimere il mio desiderio e quello dei giovani dell’UdC di non sprecare la stagione della gioventù, vivendola – come ci ha insegnato il Beato Karol Wojtyla – come un tempo di preparazione ai grandi orizzonti per i quali giocare la vita e al servizio dei quali accorgersi che essa è degna d’essere vissuta.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Coviello, Ufficio Politico Nazionale Giovani UDC

Commenti disabilitati su Emergenza lavoro, il Cardinale Angelo Bagnasco in Basilicata. Benvenuto!

“Aboliremo le province”, la promessa elettorale di Silvio Berlusconi (e del PD)

postato il 5 Luglio 2011

Repetita iuvant dicevano gli antichi, ma ripetere alcune cose potrebbe non giovare, anzi addirittura potrebbe fare arrossire. E’ il caso dell’abolizione delle province: durante la campagna elettorale del 2008 Silvio Berlusconi e la sua coalizione hanno promesso agli italiani di abolire le province per recuperare ben dieci milioni di euro, oggi gli stessi che nel 2008 erano i paladini di questo provvedimento si sono invece premurati di respingere alla Camera la proposta di legge per sopprimerle. A dire il vero anche il PD, allora guidato da Veltroni, si sbracciava per l’abolizione delle province; promesse anche in questo caso non mantenute, così il PD ha infatti votato con PDL e Lega, salvando il Governo. “Repetita iuvant” dicevamo, ecco un florilegio di dichiarazioni rilasciate alle agenzie di stampa da far arrossire qualunque pinocchio della politica.

PDL: BERLUSCONI,COLLABOREREMO CON PD PER ABOLIZIONE PROVINCE

(ANSA) - ROMA, 4 MAR - Visto che l'abolizione delle province
e' anche nel programma del Pd ''su questo potremmo collaborare,
allo scopo di abolire le principali province dove esistono aree
metropolitane''. Lo ha detto Silvio Berlusconi, leader del Pdl,
ospite di 'SkyTg24 Pomeriggio'.
(ANSA).

GMB
04-MAR-08 13:41 NNNN

Apc-*ELEZIONI/ BERLUSCONI: LE PROVINCE VANNO ELIMINATE TUTTE
Sono inutili è solo un costo per i cittadini

Roma, 5 mar. (Apcom) - Silvio Berlusconi ribadisce oil suo
progetto di abolizione delle Province, un'abolizione che, a suo
giudizio, deve riguardare tutti questi Enti locali, non solo
quelli delle città metropolitane. Intervistato durante la
trasmissione 'Porta a porta', l'ex premier ha infatti
sottolineato: "Dobbiamo eliminare le Province. Sono tutte inutili
e soltanto fonte di costo per i cittadini".

Bac/Ang/Dav

052025 mar 08

ENTI LOCALI:BERLUSCONI,ELIMINARE PROVINCE,RISPARMIAMO 10 MLN

(ANSA) - TAORMINA (MESSINA), 29 MAR - L'eventuale futuro del
governo di centrodestra ha in programma anche ''l'eliminazione
delle Province dagli enti locali''. Lo ha detto il candidato
premier del Pdl Silvio Berlusconi intervenendo al Forum di
Confagricoltura a Taormina.
''Quando furono realizzate le Regioni - ha aggiunto - tutti
davano per imminente l'abolizione delle Province, poi localismi
ed egoismi hanno prevalso. L'abolizione delle Province - ha
spiegato Berlusconi - senza licenziare alcun dipendente pubblico
porterebbe da solo un risparmio di 10 milioni di euro
l'anno''.(ANSA).

TR-FPI/IMP
29-MAR-08 13:23 NNNN

PDL: BERLUSCONI A CENA ANTONIOZZI, ABOLIREMO LE PROVINCE =
(AGI) - Roma, 3 apr. - "Oggi ho fatto la piu' grande maratona
della tv. Ho parlato per 9 ore e 20 minuti". Silvio Berlusconi
si presenta alla cena offerta dal candidato del Pdl alla
provincia di Roma Alfredo Antoniozzi e la prima cosa che spiega
alla platea e' che vuole abolire le province. "Dall'abolizione
delle province avremo 12 miliardi di euro di risparmio" dice
l'ex premier spiegando di aver fatto una prima stima in
proposito. Il candidato premier del Pdl tuttavia osserva che
"non e' giusto gettare la colpa addosso sempre alla casta dei
politici. Lo sapete - aggiunge parlando in una sala di un
albergo romano - io non ho simpatia per la casta. Anzi, mi
sento di rappresentare l'antipolitica, sono un imprenditore
prestato alla causa". Berlusconi nel suo intervento ha ribadito
la teoria del 'voto utile': "Se non abbiamo una vasta
maggioranza non riusciremo a cambiare un paese che e' in
declino. Bisogna anche ragionare - ha osservato - che
l'economia americana subira' un arresto. Le famiglie americane
hanno speso di piu' di quanto guadagnavano. Per questo motivo
noi dobbiamo far fronte ad una situazione difficile e dobbiamo
ottenere il piu' ampio consenso possibile". (AGI)
Gil/Cam
032317 APR 08

NNNN

BERLUSCONI:INUTILE METTERE MANI ITALIA SENZA AMPIA MAGGIORANZA =
(AGI) - Roma, 3 apr. - "E' inutile mettere le mani sull'Italia
se non avremo un'ampia maggioranza". E' quanto afferma Silvio
Berlusconi in un'intervento alla cena offerta dal candidato del
Pdl alla provincia di Roma, Alfredo Antoniozzi. "L'ex premier
spiega di non voler fare "lotte pazzesche" per cambiare
l'Italia, per questo chiede un ampio consenso. Berlusconi
inoltre chiarisce che le riforme sul dimezzamento dei
parlamentari e sull'abolizione delle province saranno fatte
dopo la legislatura che avra' inizio a seguito del voto del 13
aprile. (AGI)
Gil
040036 APR 08

NNNN

ELEZIONI: BERLUSCONI, ABOLIZIONE PROVINCE NEL PROGRAMMA E VA FATTA =

Roma, 10 apr. (Adnkronos) - "L'abolizione delle province e' nel
nostro programma. Le province non possono essere lasciate in piedi,
solo per l'abolizione delle province, pur assorbendo tutto il
personale si risparmiano 10-13 mld all'anno". Lo ha sottolineato
Silvio Berlusconi, durante la registrazione della puntata di 'Porta a
Porta' che andra' in onda questa sera, ribattendo a chi ricordava la
contrarieta' della Lega all'abolizione di questi enti locali.

(Sam/Pe/Adnkronos)
10-APR-08 17:18

NNNN

 

FEDERALISMO: BERLUSCONI, ABOLIZIONE PROVINCE E' UN PROBLEMA APERTO =

(ASCA) - Roma, 15 set - ''L'abolizione delle Province e' un
problema aperto, anche se non ne abbiamo ancora parlato in
Consiglio dei ministri''. Lo ha detto il presidente del
Consiglio Silvio Berlusconi durante la registrazione di
'Porta a porta.
''Questo problema - ha aggiunto il premier - non e' ne' di
destra ne' di sinistra e quindi sarebbe auspicabile,
nell'affrontarlo, la concordia tra tutte le forze
politiche''.
lpe/mcc
152010 SET 08
NNNN

PROVINCE:BERLUSCONI, VORREI ABOLIZIONE MA LEGA NO D'ACCORDO

(ANSA) - BRUXELLES, 11 DIC - ''C'e' un solo punto nel
programma elettorale in cui ho difficolta' serie con gli alleati
ed e' quello dell'abolizione delle Province: siamo ancora
convinti che sarebbe utile per risparmiare ma la Lega ha una
posizione molto ferma''. Lo ha sottolineato il premier Silvio
Berlusconi conversando con i cronisti oggi a Bruxelles.
D'altra parte, ha spiegato il presidente del Consiglio, ''io
non ho il 51% e devo accettare cio' che i miei alleati ritengono
di non poter sottoscrivere''. (ANSA).

KWF/CIP
11-DIC-08 16:38 NNNN

Apc-*Riforme/ La Russa: Abolire le province tra cinque anni
La Lega non chiuda le porte a questo programma

Milano, 13 dic. (Apcom) - Il ministro della Difesa, Ignazio La
Russa e coordinatore nazionale di An, propone di abolire tutte le
delle Province tra cinque anni. Nel pieno del dibattito
sull'abolizione degli enti provinciali, il ministro La Russa dà
la sua ricetta, alla vigilia dell'appuntamento elettorale del
2009: "Le Province non possono essere abolite adesso che si sta
per andare a votare - ha detto a margine di un incontro presso il
gazebo del Pdl in San Babila - ritengo che fra cinque anni
debbano essere abolite tutte le Province e che subito dopo il
voto venga fatta una legge che preveda il passaggio delle deleghe
provinciali al termine del prossimo mandato a Comuni, Regioni o
aree metropolitane".

Il ministro ha voluto richiamare anche l'attenzione della Lega
sul tema delle Province: "Ci dobbiamo dotare di un programma per
l'abolizione e invito la Lega a non chiudere a questo programma.
Penso che tutte le Province vadano abolite e non alcune sì e
alcune no: questa è un'ipotesi che tutto il Pdl deve scartare".

Quanto invece ai candidati del Pdl per le provinciali milanesi
per le quali da tempo circolano molti nomi ma ancora il partito
non si è pronunciato ufficialmente, La Russa ha ribadito: "Sia
con Albertini che con la Moratti i candidati sono stati scelti
poco prima della scadenza elettorale. Penati, visto che è così
indietro, fa bene a correre". Domani, infatti, il Partito
democratico, alla presenza del segretario nazionale Walter
Veltroni, lancia le proprie candidature per le provinciali 2009.

Mlo/Ral

131711 dic 08

Commenti disabilitati su “Aboliremo le province”, la promessa elettorale di Silvio Berlusconi (e del PD)


Twitter


Connect

Facebook Fans

Hai già cliccato su “Mi piace”?

Instagram