Tutti i post della categoria: Economia

Berlusconi prenda atto che la sua fase è esaurita

postato il 13 Luglio 2011

L’Udc voterà no alla manovra, come tutte le volte che e’ stata presenta la fiducia, ma il momento cruciale e’ come il governo reagirà all’approvazione.
Berlusconi ha due strade: continuare come prima, ma sarebbe un gesto di grande miopia perché non siamo al riparo dalla speculazione, oppure prendere atto che la sua fase e’ esaurita e dare il suo contributo dimettendosi.
Per me non si dimetterà e dico che l’opposizione non deve fare una cosa aspettandosene un’altra. Non facciamo una cortesia a Berlusconi anticipando la manovra, ma a tutti gli italiani.

Pier Ferdinando

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Chi vince e chi perde in questi giorni convulsi di Borsa

postato il 12 Luglio 2011

In questi giorni l’Italia rischia di dover dichiarare fallimento (default), a causa di un sentimento di sfiducia verso la tenuta dei nostri conti pubblici. Ma in caso di default, chi paga? Sicuramente lo Stato italiano e i suoi cittadini: aumentare lo spread, ovvero la differenza con i Bund tedeschi, significa che l’Italia paga più interessi sul debito pubblico e quindi lo Stato ha bisogno di aumentare le entrate o tagliare le spese. Chiaro che aumentare le entrate o tagliare le spese, significa colpire cittadini e imprese.

E se andassimo in default? Basta vedere la Grecia: stretta molto dura su pensioni e stipendi statali, tagli selvaggi nei servizi, solo che il debito pubblico italiano è molto più grande. Per intenderci, pagare 1% in più o in meno sul debito pubblico italiano significa pagare circa 18 miliardi di euro (calcolando l’1% su tutto il debito pubblico italiano, ovviamente sto semplificando). Se consideriamo che nei prossimi 5 anni, bisogna rinnovare almeno 900 miliardi di euro di debito pubblico, ecco che noi parliamo, con un differenziale del 3%, di circa 27 miliardi di euro in più o in meno da pagare rispetto ai titoli di stato tedeschi e rispetto ai tassi di interesse della BCE. Sono soldi che paghiamo noi tutti e quindi noi perdiamo.

E chi ha vinto in questi giorni?

Dire che qualcuno ha vinto è ovviamente una esagerazione, ma serve a rendere l’idea, e questa persona è il ministro Tremonti. Appena sono comparse delle intercettazioni e l’ipotesi che Tremonti potesse seguire la stessa strada di Scajola (che si dovette dimettere), ecco che è iniziata la crisi. Le date coincidono. Perché?

In fondo nei giorni e nelle settimane precedenti erano spuntate intercettazioni e vi erano le udienze a carico di Berlusconi, ma non avevano assolutamente turbato i mercati. Neanche i problemi con la Lega avevano scosso i mercati. La risposta è semplice: i mercati percepiscono come garante della tenuta dei conti il ministro Tremonti, senza di lui, per i mercati, la tenuta non sarebbe più garantita perché Bossi e Berlusconi inizierebbero ad elargire solo per recuperare un minimo di consenso. Basti pensare alla vicenda delle quote latte che si trascina da anni: paghiamo una multa poco superiore al miliardo di euro solo perché pochissimi allevatori hanno sforato le quote, non pagano le multe e non si rimettono in riga, perché sono elettorato leghista e sono tutelati dalla lega.

Alcuni giorni fa si vociferava che vi fosse la rottura tra Tremonti e Berlusconi, ebbene, si è capito che Berlusconi è, per i mercati internazionali, assolutamente ininfluente, non conta nulla. Nella scena politica del centrodestra la parte del leone -dell’unico inamovibile- la recita Tremonti. Tutti gli altri, Berlusconi e Bossi compresi, sono sostituibili.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Sulla manovra l’opposizione dimostra grande responsabilità

postato il 12 Luglio 2011

Da noi gesto disinteressato, da premier delirio autosufficienza

Quando la casa brucia, bisogna solo spegnere l’incendio prima possibile. L’opposizione dimostra grande responsabilità approvando una manovra che non condividiamo, ma che va varata subito, per il bene del Paese. Da parte del premier Berlusconi mi aspettavo un gesto di sensibilità istituzionale in più. Invece, mentre l’opposizione agisce per l’Italia, il premier è fermo in un delirio di autosufficienza. Il nostro è stato un gesto disinteressato, motivato non da una richiesta ma dalla volontà di aderire all’appello di Napolitano e di fare il bene del popolo italiano. In questo tempo di crisi, la responsabilità dimostrata dal Terzo polo e dalle altre forze di opposizione è confortante. Noi da anni diciamo che il Paese non può salvarsi senza coesione tra partiti. Ora è il momento di non guardare al palazzo ma all’interesse degli italiani.

Pier Ferdinando

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Riceviamo e pubblichiamo, l’economia non era in ripresa?

postato il 12 Luglio 2011

Lo sò che non è il momento per fare polemiche sterili, ma la situazione non era sotto controllo? L’economia non era in ripresa ?
Non era vero che l’Italia non correva nessun rischio di finire come la Grecia? Tremonti non era l’orco che non voleva allentare i cordoni della borsa? E ora invece? Scopriamo di essere anche noi nei guai e che finora il Governo ci ha raccontato solo balle per far credere che stava facendo bene! Ora, come al solito siamo noi a dover avere il senso di responsabilità e dello Stato. Non sarebbe più responsabile che il capo del governo la smetta di accanirsi contro il Paese e contro tutti? Certo che di occasioni per mostrare un briciolo di responsabilità ne ha avute molte, tutte sprecate ovviamente. Se come al solito la croce ce la dobbiamo addossare noi, Amen, ma almeno facciamolo pesare politicamente.

Riceviamo e pubblichiamo” di Francesco Lauria

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Pochi emendamenti e approvare subito la manovra

postato il 11 Luglio 2011

Non la condividiamo ma la situazione è drammatica

In una situazione drammatica che puó compromettere il futuro degli italiani, l’Unione di Centro raccoglie l’appello del Presidente della Repubblica alla concordia nazionale. Pur non condividendo gran parte dei contenuti della manovra economica, propone a maggioranza e opposizione di accelerarne l’iter parlamentare per una sua rapidissima approvazione. Con questo spirito, in sintonia con le forze del Terzo Polo, concorderà con il Partito Democratico e l’Italia dei Valori pochi qualificati emendamenti su cui auspica una larga convergenza.

Pier Ferdinando

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Default dell’Italia: come evitare il fallimento dei titoli di Stato?

postato il 11 Luglio 2011

In questi giorni, i media hanno lanciato l’allarme su un possibile default dei titoli di Stato italiano (i BOT, BTP, CTZ e così via), e quindi che l’Italia possa fare la fine della Grecia.

E’ possibile che avvenga ciò? E come si può evitare questo rischio?

Prima di rispondere a queste domande, credo che sia doveroso partire da alcune spiegazioni, necessarie per quanti non masticano la terminologia finanziaria.

Intanto iniziamo dal termine default: un vocabolo inglese che indica quando un debitore non può più pagare gli interessi o, peggio, non può restituire il capitale avuto in prestito.

Adesso spieghiamo alcuni concetti base, ovvero lo spread tra il BTP e il Bund. Terminologie che credo possano essere oscure a quegli italiani che non hanno dimestichezza con l’inglese e con la finanza.

Quando si parla di spread tra il BTP e il Bund, si parla della differenza di prezzo che esiste tra il BTP (titolo di stato italiano) e il Bund (titolo di stato tedesco). Quando questa differenza è alta, significa che i mercati hanno sfiducia verso i titoli di stato italiani, e quindi li valutano meno dei Bund. La conseguenza è che il BTP, per tornare ad essere appetibile, deve pagare un interesse più alto rispetto all’omologo tedesco.

Siete confusi? Non siatelo abbiamo quasi finito con le spiegazioni, restano gli ultimi termini da spiegare e per essere precisi si tratta di spiegare “la vendita allo scoperto” e i “CDS”.

I CDS sono i Credit Default Swap, e sono una sorta di assicurazione contro il rischio di fallimento. In pratica supponiamo che acquisti dei titoli di stato italiani, e che voglia coprirmi dal rischio di fallimento. Per fare ciò, compro dei CDS, ma, ovviamente, se il rischio di fallimento è alto, chi mi assicura vorrà essere pagato di più. In pratica più alto è il rischio di fallimento, più bisogna pagare per assicurarsi contro il rischio di perdere i soldi in seguito al fallimento, proprio per questo gli specialisti seguono l’andamento dei CDS: se questi aumentano di valore, significa che il paese (nel nostro caso l’Italia) aumenta il rischio di dovere dichiarare bancarotta.

L’ultimo termine è “vendite allo scoperto”: in pratica con questo termine si indica la possibilità di vendere dei beni che non si possiedono. Come è possibile questa alchimia? Nulla di complicato: basta che qualcuno mi presti quello che voglio vendere (ovviamente io pagherò questo servizio). In pratica supponiamo che io venda allo scoperto dei BTP, in questo caso qualcuno (di solito una banca) mi “presta” questi titoli. Supponiamo quindi che io li venda a 100 euro. A questo punto io inizio a pagare il servizio, inoltre entro una certa data io devo restituire i titoli che mi hanno prestato.

Supponiamo che nel frattempo, il BTP sia sceso a 90, lo compro e lo restituisco alla banca. Cosa è successo? E dove ho guadagnato? Semplice: ho venduto a 100 il BTP, poi l’ ho riacquisto a 90. Quindi entrano 100 euro, e successivamente ne escono 90, facendo la sottrazione mi restano 10 euro che è il mio guadagno (se invece il BTP sale, supponiamo fino a 110, io perderò 10). La banca invece ritorna in possesso dei titoli prestati e guadagna l’interesse che io pago per il prestito suddetto.

Ora che abbiamo smontato alcuni dei termini tecnici, torniamo alle domande iniziali: è possibile che l’Italia possa fallire? E come evitare questa ipotesi?

Il rischio concreto c’è, certo l’Italia ha una economia più solida della Grecia, ma nonostante questo, secondo il Financial Times il rischio è concreto e infatti gli hedge funds (fondi altamente speculativi) americani scommettono al ribasso contro i bond italiani. Anzi, il Financial Times scrive: “I fondi speculativi di New York stanno piazzando massicci ordini scommettendo sul calo dei titoli di stato emessi dal governo italiano, shortando direttamente i bond della terza maggiore economia dell’eurozona”.

Il Financial Times mette in evidenza che Venerdì i rendimenti dei titoli di stato italiani hanno toccato il più alto livello dall’ottobre 2002 e la motivazione pare essere legata all’affiorare di tensioni la scorsa settimana tra Silvio Berlusconi, il primo ministro, e Giulio Tremonti, il ministro delle Finanze dell’Italia, sulla proposta di piano di austerità del paese.

Shortare direttamente titoli governativi, è considerato più rischioso del comprare l’assicurazione sul default (CDS, cioè credit default swaps), visto che il venditore short deve evidenziare il possesso degli specifici titoli per completare la transazione. Il mercato italiano dei bond, comunque, è altamente liquido, e prima della crisi finanziaria shortare i bond dell’Italia era una strategia comune.
Il problema è che il governo italiano deve ancora emettere più della metà del totale di bond da emettere nel 2011, a questo punto dell’anno un ammontare maggiore della norma. E’ vero che l’Italia ha un deficit di bilancio inferiore a zero, ma il paese deve rifinanziare 900 miliardi di euro di debito sovrano che matureranno nei prossimi cinque anni.

Stiamo parlando di una cifra altissima e basterebbe che qualche asta dei titoli di stato italiani andasse deserta per mettere nei guai l’Italia.

Come si può evitare che continui questa tensione sui titoli di stato italiani? La prima mossa è mettere dei vincoli sulle vendite allo scoperto, ma questa mossa è solo momentanea e non risolve certo il problema, serve solo a tamponarlo.

La vera soluzione è riuscire a diminuire il debito pubblico, e questo si può fare solo stimolando la crescita e trovando i soldi necessari per coprire gli investimenti e ridurre il debito, magari tagliando le spese inutili. Come fare ciò? Le armi sono due: lotta seria e dura all’evasione fiscale e all’economia in nero, e avviare un dialogo serio e costruttivo tra opposizioni e governo, come sta facendo per ora Obama per evitare che il default colpisca gli USA (che sono effettivamente a rischio). Ma perché si possa avviare questo dialogo non servono i proclami, servono i fatti e abbandonare la visione individualista che anima l’azione della Lega (che pensa solo al suo orticello) e la visione persecutoria che anima Berlusconi (che vede nemici e complotti ovunque). Gli usa hanno un problema: nel 2012 vi sono le elezioni, ciò sta limitando il dialogo tra governo e opposizioni. L’Italia ha un anno in più, le prossime elezioni sono nel 2013, quindi se si agisce con tempestività si può portare avanti una seria riforma economica, ma perché ciò avvenga bisogna agire tempestivamente.

Sarà possibile?

Mario Pezzati

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Combattiamo la speculazione internazionale

postato il 10 Luglio 2011

Chi non combatte la speculazione internazionale contro l’Italia, chi diserta in questo momento da un impegno comune fa solo e semplicemente una scelta antinazionale. Noi non saremo mai tra questi.

Pier Ferdinando

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Due calcoli sui BOT, sugli investimenti e sulle nuove tasse del Governo

postato il 7 Luglio 2011

Abbiamo detto di come il governo, aumentando l’imposta di bollo sui conti titoli, penalizzi i piccoli risparmiatori. Oggi vorrei approfondire l’argomento, perché mi rendo conto che sono stato un po’ frettoloso, macchiandomi quindi di una colpa grave, visto che parliamo del risparmio degli italiani e che l’argomento è alquanto complesso.

Partiamo da alcune informazioni di base: sui dividendi che danno BOT, CCT, BTP e titoli azionari, al momento vi sono 3 tassazioni che colpiscono tutti (cassettisti e investitori), e poi il capital gain che colpisce solo gli investitori (con questa categoria considero i risparmiatori che acquistano e vendono titoli, guadagnando sulla differenza di prezzo). Con queste tasse, chi sono colpiti? I piccoli risparmiatori, non certo i grandi patrimoni. Perché? Perché per un grande patrimonio, pagare 39 euro o 120 euro cambia poco nei rendimenti, ma per chi investe 20.000 euro con un rendimento all’1% (caso dei BOT), significa andare in perdita.

Spieghiamo come. Intanto partiamo dal rendimento lordo e ipotizziamo un BOT che rende circa 1,2% l’anno. Se consideriamo un investimento di 20.000 euro, otteniamo un rendimento lordo di circa 240 euro. Adesso a questi 240 euro, dobbiamo togliere: 30 euro di tenuta titoli (per i titoli azionari è pari a 60 euro), 120 euro (come è nella finanziaria) di bollo annuale e scendiamo da 240 euro a 90 euro.

Abbiamo finito? No, perché in realtà il dividendo non è di 240 euro, ma meno, infatti al dividendo lo stato applica una ritenuta alla fonte (una tassa) pari al 12,5% del dividendo, quindi altri 30 euro da pagare. Quindi alla fine abbiamo: 240 euro di introito a cui dobbiamo togliere il 12,5% (quindi 30 euro circa), 30 euro di tenuta titoli, 120 euro di bollo annuale. Quanto resta? 60 euro.

Vi sembra molto? Direi di no, perché per giunta, dobbiamo fare un’altra specificazione: il dividendo lordo (240 euro) va a finire nel calcolo IRPEF e quindi altre tasse.

E se invece di un Bot, consideriamo un BTP decennale? Il BTP con scadenza a 10 anni, rende circa il 5% lordo che su 20.000 euro investiti garantisce un rendimento pari a circa 1000 euro.

Sembra molto? Intanto consideriamo che questi soldi restano “bloccati” per circa 10 anni (a meno di volerli vendere e perdere 1-2% del capitale investito), e ogni anni si percepiscono questi 1000 euro lordi. Ma quanto resta di netto? Riprendiamo i calcoli precedenti e abbiamo 1000 euro lordi a cui sottrarre 125 euro (il 12,55 di ritenuta), 30 euro di tenuta titoli e 120 euro di bollo annuale, e resta un totale di 725 euro, a cui togliere le ulteriori tassazioni dell’IRPEF.

Stesso andamento se consideriamo i titoli azionari (che rendono qualcosina in più, ma hanno maggiori tasse, ad esempio le spese di tenuta titoli raddoppiano e passano a 60 euro). Da questi calcoli diventa evidente che chi subisce il depauperamento maggiore è il piccolo risparmiatore, e andando nello specifico, chi possiamo considerare come piccolo risparmiatore? Se consideriamo gli importi calcolati, ci rendiamo conto che i 20.000 euro investiti sono appannaggio o di un pensionato o di un giovane lavoratore (che in media percepisce poco meno di 1000 euro al mese e non ha molte possibilità di mettere da parte grandi risparmi, visto lo stipendio e il costo della vita). Quindi ad essere penalizzati maggiormente sono le due categorie più “deboli” in Italia: i pensionati e i giovani lavoratori.

E cosa succede se aumentiamo il capital gain? Nel 2009 lo Stato italiano dal capital gain ha preso circa 300 milioni, quindi anche raddoppiandolo e considerando il 2009 lo Stato prenderebbe solo altri 300 milioni aggiuntivi. Ma anche qui, al di là delle ideologie, andiamo a colpire solo i piccoli risparmiatori. Infatti la tassazione del capital gain interessa solo le persone fisiche non imprenditori o, se imprenditori, limitatamente ai beni non appartenenti all’impresa.

Sono esclusi i soggetti che conseguono tali redditi nell’ambito di un’attività commerciale, in quanto per questi ultimi i proventi conseguiti sono attratti per presunzione assoluta nella disciplina del reddito d’impresa, ove non soggetti a ritenuta d’imposta o ad imposta sostitutiva (art. 45 TU). Banche, assicurazioni e investitori professionali (fondi speculativi e fondi di investimento) subiscono la tassazione del regime dichiarativo e quindi sui guadagni derivanti da investimenti di borsa pagano le tasse “aziendali” (Irap e simili) con tassazione al tra il 40 e il 50% degli utili. Da ciò si deduce che, se per una questione ideologica vogliamo aumentare la tassazione del capital gain dal 12,5%, si può fare, ma si sappia che si vanno a colpire i piccoli risparmiatori senza che lo Stato possa incamerare cifre tali da avviare un robusto risanamento dei suoi conti.

Da quanto sopra, non ho voluto considerare le conseguenze per la già debole “industria finanziaria” italiana.

A questo punto, possiamo solo concludere in un modo: se il governo vuole aumentare la tassazione dell’imposta di bollo e portarla a 120 euro, può farlo, ma, se volesse fare una cosa giusta, dovrebbe coinvolgere i grandi patrimoni o quanto meno quelli abbienti, partendo da una cifra di almeno 200.000 euro investiti, proprio per non penalizzare gli italiani non abbienti o addirittura poveri.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

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Una proposta alternativa sui titoli di Stato (ma rinunciate alla fiducia)

postato il 7 Luglio 2011

Sui titoli di Stato serve dimostrare responsabilità: non siamo il Partito del No

L’intervento di Pier Ferdinando Casini pubblicato su ‘Liberal’

La tassa sui depositi sui titoli è una vera e propria imposta patrimoniale regressiva che colpisce e penalizza in particolare i piccoli risparmiatori. Noi non siamo il partito del No, ci rendiamo conto della situazione economica e facciamo dunque una proposta alternativa: se proprio bisogna introdurla, lo si faccia in misura proporzionale al valore dei titoli del portafoglio escludendo dal calcolo i Bot e i Cct e introducendo una soglia di esenzione per i piccoli risparmiatori. Siamo anche preoccupati per quei due milioni di risparmiatori italiani che hanno investito piccoli importi in azioni delle grandi aziende pubbliche iniziando da Eni ed Enel e che al momento della vendita realizzeranno la perdita.
Non è comunque con queste azioni che si rilancia lo sviluppo e temiamo che non si tengano neanche i conti in ordine, infatti la previsione di incasso di otto miliardi da questa imposta, ci sembra molto sovrastimata in quanto è evidente che a questo punto i risparmiatori cercheranno strumenti di investimento alternativi. Speriamo che in Parlamento sulla manovra finanziaria possa davvero realizzarsi quel confronto aperto e positivo auspicato anche ieri dal Presidente della Repubblica, è necessario introdurre elementi di crescita e sviluppo e non si può farlo se non raggiungendo elementi di forte condivisione fra le forze politiche. Questa è una manovra che incide pesantemente sui destini del paese e sarebbe poco responsabile blindarla a colpi di fiducia.

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Berlusconi ha messo le mani nelle tasche degli italiani

postato il 6 Luglio 2011

Probabilmente non c’era altro da fare, ma nessuno venga a dirci che il governo non mette le mani in tasca agli italiani. Lo ha fatto, eccome. E purtroppo lo ha fatto colpendo i soliti noti, cioè quel ceto medio che sta scivolando nell’area della povertà. Avremmo preferito che fosse colpita la speculazione sulle rendite finanziarie e sui grandi patrimoni perché è giusto che nei momenti di crisi chi più possiede più debba dare.

Pier Ferdinando

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