«Il sistema non ha funzionato, indagheremo su tutti i dissesti»

postato il 14 Ottobre 2017

L’intervista di Giorgio Santilli a Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, pubblicata sul Sole 24 Ore

I fatti dimostreranno che avremo tempo per indagare su tutti i casi di dissesto bancario, compresa Banca Etruria. Ho già chiesto a Bankitalia e Consob di fornirmi atti e documenti relativi a tutti questi casi, non solo ai primi che esamineremo».

Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione di inchiesta sulle banche, rimanda al mittente le accuse di ritardi. Rassicura sul fatto che la commissione non farà gossip «perché la campagna elettorale deve stare fuori delle stanze della commissione». E’ convinto che «il sistema non ha funzionato bene» e «dobbiamo capire se le varie autorità di vigilanza hanno fatto il loro dovere o se si sono manifestati falle o ritardi». La commissione proporrà norme «perché fatti così gravi non si ripetano».

Presidente Casini, partono i lavori della commissione. C’è stata polemica sui tempi di avvio dei lavori. Questi mesi che mancano alla fine della legislatura saranno sufficienti per arrivare a una relazione finale?
Personalmente non rispondo in alcun modo di tempi che ci sono stati assegnati. Rispondo di ciò che ho fatto dal giorno della mia elezione a presidente il 27 settembre. Non abbiamo perso un minuto: abbiamo redatto il regolamento,fatto un primo programma e martedì avremo le audizioni di due autorevoli personalità, il dottor Orsi e il dottor Greco, che sanno di cosa parlano:hanno fatto indagini e possono fornire elementi utili alla commissione. Subito dopo ci addentreremo sul caso specifico delle banche venete. Sfido chiunque ad andare a fare verifiche con le altre commissioni d’inchiesta… Vedranno che abbiamo corso. [Continua a leggere]

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Caos a Giurisprudenza: i collettivi non possono avere il monopolio

postato il 11 Ottobre 2017

L’intervista di Francesco Pandolfi, pubblicata su QN

«QUANTO successo in università sinceramente non mi è piaciuto e mi ha fatto venire in mente ciò che è successo al professore Panebianco, una delle autentiche eccellenze dell’Alma Mater, un uomo che onora la cultura italiana e anche il giornalismo, e che ha subito a più riprese le prepotenze dei collettivi».
Pier Ferdinando Casini, senatore e presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche condanna senza mezzi termini l’azione degli antagonisti che l’altro giorno hanno occupato la presidenza della Scuola di Giurisprudenza, fatto cancellare un convegno di Azione Universitaria e costretto la presidente della Scuola, Nicoletta Sarti, a sospendere le lezioni per un pomeriggio.

Presidente Casini, cosa ne pensa di quanto accaduto?
«È inaccettabile. Non è più un problema di ideologie di destra e di sinistra, è un problema che riguarda il metodo di una democrazia liberale nella quale noi crediamo di vivere».
Cosa si dovrebbe fare ora?
«Penso che i veri democratici dovrebbero reagire. Ricordo quando ero rappresentante degli studenti nel consiglio di Facoltà di Giurisprudenza, erano i tempi in cui il diritto a manifestare sembrava valere solo per alcuni. Pensavo che questi momenti fossero finiti. La cultura, l’università, invece, devono dare a tutti la possibilità di esprimersi».
Come si dovrebbe reagire?
«Credo che sarebbe bene che su questo si esprimessero le persone che sono più distanti da Azione Universitaria, da questa destra, perché, diceva qualcuno di ben più importante di me “Vogliamo
continuare a dissentire con le persone con cui non siamo d’accordo”».
Cioè?
«Significa che chi è liberale profondamente deve far sentire la propria voce a tutela anche di persone che possono dire cose potenzialmente sgradite».
Dei collettivi cosa pensa?
«Non possono avere il monopolio delle aule scolastiche. L’arroganza e la prepotenza che hanno mostrato, alla fine, agli occhi dell’opinione pubblica, hanno prevalso. Fermo restando che i vertici di Giurisprudenza hanno agito secondo le migliori intenzioni».
Insomma, il rischio è che una cosa del genere possa ripetersi.
«Se nella scuola i violenti la fanno franca non lamentiamoci poi se si arriva agli scontri, perché l’arroganza poi aumenta. Oggi si occupano le aule, domani si contesta un professore scomodo e domani l’altro non si accetta che un gruppo studentesco di segno opposto possa tenere un incontro».

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Bce: le scelte sui crediti deteriorati aumentano l’incertezza

postato il 10 Ottobre 2017

La mia lettera al Direttore Mario Calabresi, pubblicata su La Repubblica 

Caro Direttore,

in un articolo pubblicato ieri, Ferdinando Giugliano riporta alcune affermazioni con le quali, in riferimento a recenti interventi della Bce, ho definito la stretta della Banca centrale “preoccupante” e invitato il governo a “prendere il toro per le corna”. Confermo e ribadisco quello che ho detto.
Nella mia esperienza parlamentare, ho costatato che l’efficacia del legislatore non dipende tanto dal numero delle leggi approvate, quanto piuttosto dalla loro qualità, dalla capacità di assicurare stabilità normativa soprattutto in settori sensibili, come quello finanziario e creditizio.

Per queste ragioni ho espresso le mie riserve su alcune scelte compiute dalla Banca centrale europea, la quale, recentemente, è intervenuta due volte sulla stessa materia, il 20 marzo approvando un corposo e dettagliato documento sul tema dei crediti deteriorati; il 4 ottobre con un “addendum”, che in parte contraddice quanto previsto nel documento di marzo. Tali scelte, a mio avviso, accrescono l’incertezza e contribuiscono a rallentare il processo di ripresa in atto.
Non si tratta di prestarsi al solito “gioco dello cerino”, imputando all’Europa ogni responsabilità, così alimentando la retorica sovranista che si sta diffondendo in molti Paesi. Si tratta semplicemente di assicurare stabilità al quadro normativo, nel segno della coerenza e della fiducia. Inoltre, nel concreto, occorre un impegno affinché la ripresa in atto, che coinvolge la vita di famiglie e imprese, già provate da una lunga crisi economica e finanziaria, sia accompagnata da adeguate garanzie.
Quanto all’invito ad impegnarsi per un reale miglioramento del funzionamento della giustizia civile, condivido pienamente. In questa legislatura molto è stato fatto: sono state adottate normative per rendere più efficiente l’escussione delle garanzie; in questi giorni, la Commissione Giustizia del Senato ha approvato senza modifiche il testo del disegno di legge delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza, già approvato dalla Camera dei deputati; contestualmente è all’attenzione del Senato anche il disegno di legge delega per l’efficienza del processo civile. Certamente, ancora molto resta da fare, nella consapevolezza di quanto sia essenziale, anche in campo finanziario e creditizio, una riforma che assicuri snellezza dei procedimenti e rapidità delle decisioni.

Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario

 

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Sullo ius soli non possiamo essere subalterni a Lega e grillini

postato il 8 Ottobre 2017

Voterei la fiducia sulla legge e come me almeno altri cinque senatori di Ap

L’intervista di Carlo Lania, pubblicata su Il Manifesto

«Viviamo in un paese che è regredito. Quindici anni fa dissi di essere favorevole allo ius soli e la cosa non fece alcuno scandalo. Ora invece siamo tornati all’età della pietra grazie a forze politiche che si alimentano con la paura, dello ius soli come dei vaccini». Ex presidente della Camera oggi alla guida della Commissione d’inchiesta sulle banche, Pier Ferdinando Casini è sempre stato un sostenitore della cittadinanza per i ragazzi nati in Italia da genitori immigrati.

Presidente lei ha definito il voto sullo ius soli un dovere di coscienza. 
Ho detto e ribadisco che è un dovere di coscienza per me, nella coscienza degli altri non ci voglio entrare. Quindici anni fa, quando ero presidente della Camera, dissi di essere a favore dello ius soli e non c’è un motivo al mondo per cui oggi dovrei dire l’opposto. Aggiungo che quindici anni fa, presidente della Camera eletto dal centrodestra, non destai scandalo. In questo tempo il Paese invece di andare avanti è regredito, per cui oggi fa scandalo quello che quindici anni fa era un’ipotesi di scuola.

Cosa ha provocato la regressione?
Il motivo vero è che purtroppo l’Italia ha fatto i conti con il problema dell’immigrazione negli ultimi 25 anni. Questo l’ha portata a vivere in tempi rapidi una situazione alla quale altri Paesi, come la Francia e l’Inghilterra, erano abituati da tempo. Per cui da noi la reazione istintiva delle parti più deboli del Paese, reazione che va compresa e non demonizzata, è autentica. A questo va sommato il fatto che sono nate e si sono consolidate forze che sul populismo, sulla demagogia e sulla paura del diverso hanno costruito i loro successi politici. La miscela che ne esce è esplosiva. E’ in corso un processo di disinformazione, di alterazione della realtà. Quello di cui parliamo tanto per cominciare non è lo ius soli, ma lo ius culturae. Ma a prescindere da questo il diritto alla cittadinanza viene messo in relazione con l’immigrazione clandestina. Ma che rapporto c’è tra questa e i bambini che stanno nella scuola elementare con i nostri figli, parlano l’italiano magari con accento veneto o romanesco, e si sentono italiani? Con questi ragazzi dobbiamo creare un progetto di vita in comune, e più lo faremo più riusciremo a emarginare i disintegrati, quelli che non si integrano e che possono essere un pericolo per tutti, per noi e per chi riceve lo ius soli. Oggi invece siamo all’età della pietra, invece di andare avanti stiamo andando indietro e naturalmente ci sono forze politiche che vivono e si alimentano della paura. E sono le stesse forze politiche che si alimentano della paura dei vaccini.

Il Vaticano sta spingendo perché i senatori cattolici approvino la legge. Appelli che però finora sono caduti nel vuoto. La Chiesta sta perdendo la sua influenza sulla politica italiana?
Non c’è dubbio, ma io mi aspetto che un cattolico non trasformi in un automatismo l’indicazione della Chiesa bensì che abbia chiara nella sua testa la distinzione tra la sfera religiosa e quella politica. Non ne faccio una questione di rapporto con il mondo cattolico, bensì di rapporto con la società italiana.

Il premier Gentiloni aveva promesso la fiducia sullo ius soli in autunno, ma ancora non se ne vede traccia. La voterebbe? Glielo chiedo perché lei fa parte del gruppo di Ap del ministro Alfano, fortemente contrario al ddl.
Io la voterei con convinzione e penso che nel gruppo di Ap al Senato non sarei certamente l’unico. Mi vengono in mente i nomi di altri quattro o cinque senatori. Guardi il punto è questo: più rimaniamo subalterni alla propaganda leghista e grillina, più non riusciremo ad esprimere liberamente un’idea della politica. Più siamo intimoriti dalle loro sfuriate su questi temi e più ci facciamo del male. Questo vale soprattutto per i moderati.

Come giudica il tergiversare del Pd e del governo sulla legge?
Lo giustifico perché purtroppo c’è un problema di legge elettorale, c’è un problema di legge di stabilità e fino all’altro giorno c’è stato un problema di Def. Capisco che questa cosa è molto delicata e c’è il bisogno di avere la certezza che il percorso della legge non possa accidentare un po’ tutti.

Crede ci sia ancora la possibilità di approvare lo ius soli?
Non è facile, ma un margine c’è. Bisogna vedere se il governo riuscirà a superare gli scogli di cui abbiamo parlato oppure no. Se ce la fa, allora c’è anche la possibilità che l’approvazione dello ius soli diventi reale.

Aderisce allo sciopero della fame proposto dal senatore Manconi?
No. Ognuno ha i suoi metodi però chi sta in parlamento per me deve legiferare più che fare scioperi della fame. Naturalmente non biasimo, ma personalmente seguo una strada diversa.

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Banche: Commissione per verità ai risparmiatori, non palcoscenico campagna elettorale

postato il 28 Settembre 2017

Eletto alla Presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario

Mai, nella mia vita parlamentare, mi sono trovato a non ricercare un incarico come quello che oggi avete deciso di conferirmi. Ma credo che prima delle inclinazioni personali, vengano i doveri istituzionali.

Non vi nascondo che sono preoccupato per il compito che abbiamo davanti, con tempi limitati e con una campagna elettorale per alcuni versi già cominciata.
È necessario dare una prima risposta di verità ai risparmiatori italiani che sono stati coinvolti, verificando l’eventuale esistenza di manipolazioni o truffe: lo dovremo fare in tempi limitati e indagando su un periodo di tempo che andrà prioritariamente definito dalla Commissione stessa.
Fermo restando l’autonomia delle indagini giudiziarie che sono in corso e in uno spirito di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, guiderò la Commissione senza timidezze nell’individuare responsabilità personali o istituzionali che dovessero emergere.
Allo stesso modo, se qualcuno ritiene che questa sede debba diventare l’ideale palcoscenico di una lunga campagna elettorale in corso in Italia, non pensi di trovare nel presidente alcuna complicità: una Commissione come questa o lavora con serietà o diventerà un altro elemento di discredito della politica.
Abbiamo poco tempo, e non possiamo perderne. A cominciare dal primo adempimento che è quello del regolamento, che sarà la nostra bussola.
Evidentemente questa Commissione dovrà lavorare anche il lunedì e il venerdì, giorni inconsueti per l’attività parlamentare. Ma o si lavora così, o nei prossimi mesi si potrà fare ben poco.

 

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Il percorso da condividere della politica estera italiana

postato il 21 Settembre 2017

Ci sono diversi fattori che rendono un Paese affidabile agli occhi della comunità internazionale. Tra questi c’è la continuità nelle sue scelte di fondo

La mia lettera al Direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana

Caro Direttore,

Angelo Panebianco ha avuto il merito, su queste colonne (Corriere, 14 settembre), di ricordare l’importanza della politica estera nelle scelte dei partiti e nei loro programmi.
Il quadro internazionale, del resto, è straordinariamente complesso. L’emergenza più recente, quella coreana, ha fatto riemergere la prospettiva di un conflitto nucleare. Poi c’è Daesh e la minaccia del terrorismo di matrice islamica, che ormai sono parte integrante della nostra vita quotidiana. C’è il dramma dei migranti, che tocca pesantemente l’Italia, ma che in realtà è una delle grandi questioni planetarie. C’è un uso distorto e perverso delle religioni per spingere ad uno scontro di civiltà. C’è un arco di instabilità e di conflitti che corre per tutta la sponda sud del Mediterraneo, per arrivare fino in Medio oriente.
Proprio la situazione di quest’area è un esempio lampante della crisi del sistema delle relazioni internazionali. Il disimpegno degli Usa, avviato da Obama, ha lasciato un vuoto pericoloso. Che in molti, ora, vogliono riempire: dalla Russia, alle potenze regionali, perennemente in lotta tra di loro.
Uno scenario così frammentato richiede nuovi strumenti di intervento e capacità di lavorare per un “ordine mondiale”, come scrive Kissinger, più aderente alla realtà. Questo non significa, però, mettere in discussione tutto quello che si è fatto finora. Al contrario, proprio perché siamo in una fase così complessa, i pilastri della nostra politica estera devono rimanere ben saldi.
Il primo è la scelta europeista. L’Ue, oggi, ha tante difficoltà ed incertezze, molte delle quali, in verità, dovute più a certe capitali nazionali che a Bruxelles. Ma non dobbiamo dimenticare quello che ci ha garantito fino ad oggi (a cominciare da pace e stabilità), né possiamo illuderci che, per il futuro, ci siano alternative credibili. Il mondo moderno è un mare in tempesta. E gli Stati nazionali, da soli, sono barchette in balia delle onde che rischiano, Germania compresa, di affondare. In più dalla Brexit, che è un male, potrebbe anche venir fuori qualcosa di buono, cioè la formazione di un nucleo duro di Paesi che, come diceva Delors, spinga finalmente sull’acceleratore dell’integrazione, a cominciare da sicurezza e politica estera.
Il secondo pilastro è la scelta atlantica. Le singole amministrazioni possono piacere di più o di meno, o anche per niente. I governi però passano, mentre i popoli restano. E noi, con gli americani, abbiamo un rapporto solido e di lunga data, un’alleanza strategica fondata su una visione condivisa del mondo che dobbiamo preservare ad agni costo.
Il terzo pilastro è il multilateralismo. Anche qui, non si tratta di nascondere la realtà, in primis la debolezza del sistema dell’Onu. Si tratta di convenire che, nelle relazioni internazionali, non esistono alternative alla mediazione e al dialogo, per costruire un ordinamento, come dice la nostra Costituzione, “che assicuri pace e giustizia fra le Nazioni”.
Questi pilastri è bene che restino solidi, condivisi da tutte le forze politiche, o, almeno, dalla loro gran parte. E bisogna dire che, negli ultimi anni, i partiti italiani hanno fornito alcuni esempi virtuosi di coerenza bipartisan nella politica internazionale, a partire dal sostegno alle missioni militari di pace in cui quasi sempre si è ottenuto un consenso più ampio del perimetro governativo. Ma vorrei aggiungere due casi per tutti: Turchia e Iran. I governi italiani, ci fosse Berlusconi o Prodi, hanno sempre tenuto aperta la porta dell’Europa alla Turchia. E se nel 2003 Schröder e Chirac ci avessero dato retta, oggi avremmo probabilmente un Medio Oriente un po’ meno tormentato. Lo stesso vale per l’accordo sul nucleare con l’Iran. Anche qui il nostro Paese ha saputo mantenere, negli anni, una posizione coerente a favore del dialogo e dell’apertura. Personalmente non sono affatto persuaso che la svolta di Trump, annunciata martedì a New York, sia foriera di grandi successi per l’Occidente.
Ci sono diversi fattori che rendono un Paese affidabile agli occhi della comunità internazionale. Tra questi c’è la continuità nelle sue scelte di fondo in politica estera. Per essere forti nel mondo bisogna che la maggioranza e le forze più responsabili dell’opposizione si facciano carico di progettare insieme un percorso condiviso nell’interesse della comunità nazionale.

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Il match con Di Battista? Anche io ero un rottamatore, ma studiavo ed ero più umile

postato il 6 Settembre 2017

«A 30-40 anni hai un’incredibile voglia di arrivare. Lo capisco. Ciò che non perdono è la cialtroneria di alcuni». «L’attacco sul caso Regeni moralmente degradante»

Pier Ferdinando Casini

L’intervista di Massimo Rebotti pubblicata sul Corriere della Sera

Al cinquestelle Di Battista che lo aveva attaccato, Pier Ferdinando Casini ha risposto a muso duro: «Un intervento cialtronesco» «qui non facciamo show» «lei non mi intimidisce». Al di là del merito, quello che è andato in scena lunedì nella commissione Esteri convocata sul caso Regeni, è stato anche uno scontro simbolico tra un politico «giovane» e uno «di lungo corso». «Ho simpatia per questi ragazzi, alcuni sono anche bravi — dice il presidente della commissione Casini — ma devono avere più umiltà. E studiare».

Lunedì si è proprio arrabbiato.
«Dopo 35 anni di onorata e illibata vita parlamentare lezioni da Beppe Grillo, o da qualcun altro che fa il maleducato, non ne prendo».

 Di solito ha modi più pacati.

«Ho reagito così perché si parlava del caso Regeni. Io sono un padre, non accetto che qualcuno mi accusi di cinismo su una vicenda come quella, lo riterrei moralmente degradante. Se fosse stato un altro argomento, figurarsi, un attacco dei 5 Stelle mi sarebbe scivolato addosso. Ma le prediche sul caso Regeni, no».

Perché ha parlato di cialtroneria?
«Quello che questi ragazzi devono capire è che siamo stati tutti rottamatori in una fase della vita. Anche io da giovane. Però eravamo più educati. E, soprattutto, studiavamo. Mi ricordo, Mattarella era capogruppo della Dc e io nel direttivo: quando arrivava Andreotti, lo ascoltavamo, ci facevamo spiegare. Non avevamo la presunzione di chi pensa di sapere tutto e invece non sa niente».

Oltre a Di Battista, ha in mente altri?
«Ma no, non ho problemi con nessuno, non do pagelle. Ci sono giovani parlamentari preparati e altri pagliacceschi. La questione è più generale: è l’effetto che fa l’altitudine a chi non è abituato».

Cioè?
«Nella mia vita politica ho passato stagioni belle e meno belle, giorni pieni di telefonate e giorni senza una telefonata. Ho capito insomma che si può vincere e perdere».

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Il Ppe italiano è un progetto che non esiste. Il centro stia con Renzi anche alle politiche

postato il 30 Agosto 2017

L’intervista di Marco Ventura pubblicata su Il Messaggero

«È tempo di scelte. Il mondo centrista non può continuare ogni giorno a sfogliare la margherita chiedendosi se stare col centrosinistra oppure col centrodestra. Il caso Sicilia dimostra che il progetto di ricostituire il Partito popolare europeo in Italia è già fallito, Berlusconi non rinuncerà ad allearsi con la Lega. I centristi devono prenderne atto e fare un accordo politico con Matteo Renzi segretario del Pd».
Rompe gli indugi Pier Ferdinando Casini, presidente della commissione Esteri del Senato e ispiratore con Gianpiero D’Alia e Gian Luca Galletti dei Centristi per l’Europa.
Presidente Casini, il quadro che si è venuto a creare nella campagna per la presidenza della Regione Sicilia, con la scelta di Forza Italia di appoggiare l’ex An Nello Musumeci gradito alla Lega, è un segnale che la dice lunga sulle prossime elezioni politiche?
«La lettura politica è semplice. A destra ha prevalso la linea di Salvini e della Meloni. Tutte le ipotesi che sarebbero state interessanti e innovative di creare una piattaforma del Ppe in Sicilia non si sono realizzate, come non si realizzeranno a livello nazionale. Le chiacchiere stanno a zero: se Berlusconi quando aveva vent’anni di meno e la Lega non era forte come oggi non ha mai rinunciato ad allearsi con loro, perché mai dovrebbe farlo oggi? Sono Salvini e la Meloni che danno le carte..».
Quali conseguenze dovrebbero trarre i centristi?
«Se qualcuno non vuol capire che cosa è successo, comprendo che abbia la convenienza a non capirlo, ma le cose stanno così. Sarebbe bello avere un Ppe italiano, ma non ci sarà perché la componente più importante, Forza Italia, preferisce allearsi con la Lega e Fratelli d’Italia. Tutto il resto è una suggestione, non è realtà. È una sceneggiata, una finzione».
Eppure, Berlusconi per sua natura è un moderato e al dunque ha fatto scelte moderate, come a Roma.
«Il fatto è che Berlusconi ha sempre ritenuto di bastare lui come punto di aggregazione dei moderati e che non vi fosse bisogno di altro. E ha continuato in questa direzione. Con tutta la simpatia personale possibile che ho per Berlusconi, senz’altro un grande in un mondo di lillipuziani, ha vinto le elezioni amministrative a sua insaputa, rischia di vincere le politiche a sua insaputa, perché dovrebbe cambiare schema?».
I centristi vorranno davvero andare tutti a sinistra?
«Oggi la sfida non è più tra destra e sinistra in nessun paese d’Europa, ma tra scelte demagogiche e populiste e scelte di governo pragmatiche. Ci sarà pure una ragione se la Merkel governa con i socialisti e Macron ha rotto tutti i ponti e ha creato un’alternativa alla demagogia di Marine Le Pen. E ci sarà pure una ragione se questo governo Gentiloni produce un ministro dell’Interno che è stato il primo dopo tanti bla-bla a tentare di arginare i flussi migratori con una politica accorta nei confronti della Libia. Minniti è di destra o di sinistra?».
Lui stesso non rinnega di essere comunista, no?
«Minniti sarà pure comunista ma ha fatto cose che i reazionari della destra non sono riusciti a realizzare. Questo è il governo della razionalità. Certo, è un peccato. Il Ppe italiano sarebbe stato un bel progetto… In Europa il fronte si è spostato, non è più destra-sinistra. In Sicilia, al di là del risultato che non so quale sarà, un candidato civico come il rettore dell’Università di Palermo, Micari, candidato civico peraltro vicino al Sindaco Orlando, è la scelta di un rapporto tra moderati e progressisti che è quella del governo Renzi, poi del governo Gentiloni, ed è quella del sì al referendum».
La sinistra del Pd, i bersaniani, i dalemiani, il resto della sinistra non vogliono un centrista come Alfano. E allora?
«Fatico a accettare le prediche di chi vuol fare agli altri l’esame del sangue e poi vota contro il referendum, come una parte di Mdp e la sinistra extra-Pd. Noi quella scelta l’abbiamo sostenuta. E a quanti di noi sostengono il governo ma sembrano avere le convulsioni di stomaco un giorno sì e uno no, direi di fare chiarezza, l’ambiguità non serve a nessuno e danneggia gravemente il nostro disegno politico. Del resto, nemmeno i bambini dell’asilo pensano che Mdp non stia nella coalizione perché dentro c’è Alfano. Casarini, che avevo perso di vista negli ultimi anni, non ci sta perché non vuole Renzi, altro che Alfano…».
Il candidato premier chi sarà?
«Nel momento in cui si realizza un’alleanza tra moderati e progressisti, il partito più importante esprimerà il presidente del Consiglio, che peraltro dovrà essere scelto dal capo dello Stato, particolare non irrilevante. Credo che sia giusto fare l’accordo politico con Renzi in qualità di interlocutore obbligato, segretario del Pd che ha governato bene, ha fatto sbagli nella campagna per il referendum ma li ha pagati in prima persona dimettendosi, ed è stato confermato nelle primarie. Io non mi associo al coro dell’anti-renzismo diffuso, animato da propositi politicamente ambigui. Il mondo centrista prenda atto che il progetto del Ppe italiano non esiste. E segua per le politiche l’esempio della Sicilia».

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Basta soldi sporchi alle moschee. Serve trasparenza sui fondi esteri

postato il 26 Agosto 2017

L’intervista di Pier Francesco De Robertis pubblicata su QN 

«Il problema è complesso, ma allo stesso tempo terribilmente reale. E quindi occorre prendere di petto la questione. Perché una cosa è certa: così non si può andare avanti».

Che cosa non le torna, presidente Casini, quando si parla di finanziamenti stranieri alle moschee e ai centri di preghiera islamici in Italia?
«Adesso non c’è la benché minima trasparenza sui sovvenzionamenti stranieri ai luoghi di culto musulmani. Arrivano soldi un po’ da tutte le parti, per i motivi più disparati, senza che nessuno riesca a verificarne fonte, scopi ed entità. C’è una zona buia troppo vasta e si sa che nella zone buie succede di tutto».

Quale soluzione propone?
«I soldi devono essere tutti assolutamente certificati, ovviamente non devono provenire da nazioni o organizzazioni che finanziano o sono sospettati di finanziare cellule terroristiche o simpatizzanti del terrorismo, e la nostra autorità di pubblica sicurezza deve essere in grado di controllare quei denari. Penso a un meccanismo per il quale i finanziamenti giungano a un fondo per il culto presso il ministero dell’Interno che si deve preoccupare di smistarli e assegnarli a seconda del desiderio del donatore. In questo modo si potrebbe anche chiedere l’assoluta trasparenza dei bilanci delle moschee stesse».

Alcuni Stati come l’Austria, hanno vietato le sovvenzioni straniere alle moschee. È un modello replicabile?
«La realtà austriaca è molto diversa dalla nostra e quindi diciamo che un bando assoluto all’ingresso di contributi stranieri per i luoghi di culto non è praticabile, se non altro per un problema di reciprocità. Pensiamo per esempio all’attività della Conferenza episcopale italiana che meritoriamente sostiene l’edificazione di scuole, ospedali e centri di preghiera in molti Paesi…».

Accanto ai dubbi capitali per i luoghi di culto, ci sono anche i miliardi di petroldollari in chiaro, con i quali gli emiri stanno comprando pezzi della nostra economia. Trova normale tutto questo?
«Se si parla di patrimoni legittimi, che arrivano da nazioni senza legami con il terrorismo, non ci vedo niente di male. Spesso siamo noi italiani che sollecitiamo questi investimenti, penso ad Alitalia. E siamo noi a lamentarci se poi questi soldi invece che in Italia finiscono in Francia o Gran Bretagna…»

Torniamo alle moschee. Se un sindaco dichiara di volerne una, perde le elezioni.
«Occorre essere realisti. Se chiediamo la fine della zona grigia dobbiamo essere disposti a concedere spazi di preghiera pubblici e trasparenti. Sarò quindi impopolare, ma dico sì alle moschee. Meglio uno spazio unico, allargato, che tanti piccoli luoghi di preghiera nascosti fuori dal controllo degli imam e di quella parte dell’Islam che vuol collaborare con noi».

E i controlli sugli imam?
«Sono fondamentali anche quelli, e purtroppo oggi latitano. Gli imam devono obbligatoriamente predicare in italiano, essere iscritti a un albo certificato che la nostra autorità di pubblica sicurezza deve poter verificare».

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Ius soli: Basta fare passi indietro, il governo non cambi linea

postato il 23 Agosto 2017

Proposi la cittadinanza e non ricordo dissensi nel centrodestra

L’intervista di Gianni Santamaria pubblicata su Avvenire

Sul tema della cittadinanza sono stati fatti dei passi indietro. Quando, da presidente della Camera di centrodestra, mi dichiarai più volte a favore, non ci fu alcun tipo di polemica, neanche nella mia parte politica.
Pier Ferdinando Casini guarda per un attimo al passato e vede tutte le differenze con il dibattito attuale, in cui chi specula sulla paura ha più terreno fertile di chi cerca di spiegare le cose in modo serio.
L’ex terza carica dello Stato, oggi presidente della Commissione Esteri del Senato e parlamentare di Ap-Centristi per l’Europa (formazione, quest’ultima, che ha fondato dopo aver abbandonato l’Udc) ci tiene a precisare che per lui il tema è di coscienza e non da affrontare in base a dinamiche politiche o di alleanze.
Ritenere che sia possibile tornare indietro da una società multietnica, multireligiosa e multiculturale è pura demagogia, sottolinea.

Perché il provvedimento va approvato?
È in atto una colossale mistificazione che mira a creare un parallelismo con il terrorismo. Sono invece questioni che si collocano su due pianeti diversi. Anzi, associare gli extracomunitari perbene, i cui figli nascono in Italia e frequentano le scuole italiane, al destino della collettività nazionale significa porli al riparo da derive all’interno delle quali va a pescare la criminalità estremista. E sono a favore perché colpito dalle nostre scuole, dove ci sono ragazzini di nazionalità diverse, ma italiani a tutti gli effetti. Non solo meccanicamente perché nati qui, ma appunto per il percorso scolastico. Il provvedimento è uno ius soli temperato dallo ius culturae.
Nel dibattito c’è un’equiparazione errata trai due termini?
Si, non basta essere nati in Italia per avere automaticamente la cittadinanza. È improprio parlare di ius soli. Una classe dirigente seria dovrebbe portare avanti un provvedimento del genere indipendentemente dalle parole del Papa, che ovviamente rispetto. Ma sul terreno della laicità della politica non può esserci un’equivalenza tra le sue parole e quello che si deve fare. Questo tema riguarda la nostra coscienza. E una politica forte deve far capire alla gente le distinzioni.
Invece si divide pure sulle parole del Papa.
Perché c’è chi sul no agli extracomunitari costruisce le sue fortune elettorali. E lo fa agitando le paure. Perché non ci dicono che quando la Lega era al Viminale c’erano gli sbarchi proprio come avvenuto in seguito? Mentre oggi va dato un plauso al ministro Minniti, che con una politica accorta li ha ridotti. Ma ius culturae e arrivi sono due problemi diversi. Poi polemizzare con il Papa… Quando Giovanni Paolo II parlava contro la guerra lo abbiamo rispettato, non vedo perché non si debba fare lo stesso con papa Francesco.
La legge è su un binario morto o c’è qualche speranza?
È chiaro che un provvedimento così importante, che molti vogliono strumentalizzare, non trova terreno fertile in una fase elettorale. Poi, se ci sono speranze non lo so. È una scelta delicata che deve assumere il governo.
Pensa che Ap possa alla fine appoggiare la legge?
Anche nei nostri gruppi c’è una forte componente che sente il richiamo delle parole d’ordine della destra. Dopodiché Ap alla Camera il provvedimento l’ha votato. Ora mi auguro che contribuiremo a spiegare le cose, non ad avvelenare il clima.

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