Il mio sogno è rivedere un Papa in Parlamento
postato il 13 Novembre 2022La visita di Wojtyla 20 anni fa e la spinta decisiva di Ciampi
La mia intervista al Corriere a cura di Paolo Conti
«Non voglio solo ricordare la straordinaria visita di Giovanni Paolo II a Montecitorio di vent’anni fa, il 14 novembre 2002. Perché ho un sogno per oggi: rivedere un Pontefice come Francesco in Parlamento. Abbiamo capito da tempo che la Chiesa non è solo una grande risorsa per la Nazione: le opere di volontariato, il sostegno alla crescita dei giovani, il richiamo permanente alla centralità dell’uomo. C’è anche la presenza della Santa Sede sul nostro territorio: l’importanza diplomatica dell’Italia in varie aree del mondo è possibile grazie a questa particolarità, così come una diplomazia “parallela” come quella di sant’Egidio…». Pier Ferdinando Casini accolse, da presidente della Camera, Giovanni Paolo II nel 2002. Ora ricorda quelle ore, da decano del Parlamento, guardando anche al nostro tempo.
Che ricordo ha di quel giorno e di quel clima?
«Fu un atto che sancì la fine di una pagina di storia. La frattura tra Stato e Chiesa era già alle spalle ma il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la visse così. Ricordo anche che, quando mi misi al lavoro per la visita in collaborazione con il presidente del Senato Marcello Pera e in linea con il solco tracciato dai nostri predecessori Luciano Violante e Nicola Mancino, come deve avvenire in una corretta logica di continuità istituzionale, registrammo un po’ di freddezza dalla macchina del Quirinale».
E per quale motivo? Ciampi non era d’accordo?
«Mi riferisco alla struttura burocratica del Quirinale che aspettava da tempo una visita di Stato del Papa sul Colle e ne rivendicava la precedenza. Capii che quell’ostacolo avrebbe potuto intralciarmi. Ne parlai direttamente con Ciampi che aveva un fantastico rapporto con Wojtyla e, con una sua immediata sfuriata, raddrizzò la rotta. Volle essere presente al centro dell’Aula: a un azionista come lui, anche se cattolico praticante, non sfuggiva la valenza storica dell’evento».
Una frase che le rimane in particolare nella memoria?
«Tantissime. Ma in particolare quel suo “Dio benedica l’Italia”. Un atto d’amore verso il nostro Paese da parte di un Papa polacco, il primo pontefice straniero dopo secoli, sempre vissuto lontano da Roma che però si era intimamente identificato nella nostra Nazione. Tanti della mia generazione lo hanno visto come il nostro Papa».
Ci furono difficoltà politiche?
«Temevo freddezze dall’anima non laica ma laicista di alcune parti. Temevo anche, vista la base che ci aveva eletti, che potesse apparire un’operazione marcata politicamente: per questo ci richiamammo molto ai nostri predecessori. Ma il problema non si pose per fortuna: i più entusiasti furono alla fine proprio quelli che potevano destare maggiori preoccupazioni, inclusa l’estrema sinistra. Ricordo lo spessore molto importante del discorso di Pera che non a caso sarebbe diventato di lì a poco l’interlocutore privilegiato di Benedetto XVI. E ricordo alcuni siparietti di politici presentati al Papa. Bossi gli disse: “Santità, qui ci sono solo due stranieri, lei che è polacco e io che sono padano”».
Altri ricordi dal punto di vista umano?
«Vidi il Papa in tv e mi accorsi delle sue difficili condizioni fisiche. Telefonai al suo segretario, oggi cardinale, Stanislao Dziwisz. Chiesi come avrebbe potuto fisicamente raggiungere l’Aula dall’ingresso della Camera. Lui rispose: “Ci penserà la Provvidenza”. E così andò. Non ci fu bisogno della sedia a rotelle che avevamo preparato».
In quanto ai temi trattati da Giovanni Paolo II?
«Penso a un tema che gli era molto a cuore, da polacco: l’identità cristiana dell’Europa. Ma anche al dialogo interreligioso, all’impossibilità di qualsiasi guerra nel nome di Dio, ai carcerati. Ricordo che nelle carceri ci furono manifestazioni di entusiasmo e il Parlamento rispose all’appello del Papa, anche se troppo timidamente. Tutti temi che appartengono alla sensibilità di papa Francesco che pure viene da un mondo diverso: nella storia della Chiesa c’è più continuità di quello che a volte sembra».