Morti bianche: Si può morire di lavoro?

di Gaspare Compagno

Questo è un argomento vitale, anche se tratta di morte: si parla di morti bianche, che sono quelle che accadono nei posti di lavoro.

Il rapporto INAIL pubblicato oggi attesta che sono in diminuzione, addirittura ai minimi dal 1993. Ma questa riduzione, purtroppo non è legata a maggiore sicurezza sul lavoro, bensì alla diminuzione dei lavoratori.

Nonostante ciò, i numeri restano da infarto: gli infortuni sono stati 790mila, 85mila in meno rispetto al 2008. Per una riduzione del 9,7 per cento, mentre i casi mortali sono calati del 6,3 per cento. I lavoratori che hanno perso la vita sul posto sono stati 1050, 70 in meno rispetto all`anno precedente; gli infortuni dei lavoratori stranieri passano da 143mila del 2008 a 119mila, con una flessione del 17%.

Dobbiamo rallegrarci per questa flessione?

Assolutamente no, è legata solo al minore numero di lavoratori.

E non possiamo rallegrarci di questa notizia, perché ogni morte, ogni vita spezzata, è motivo di dolore, e proprio per questo dobbiamo batterci per aumentare la sicurezza sul posto di lavoro.

Ma non basta questo.

Spesso sui giornali leggiamo di proteste eclatanti, come quella dei lavoratori alla Scala di Milano, o come quella dei lavoratori della Playtex a Roma, ma troppo spesso ci dimentichiamo di chi ci lascia prematuramente, come del tecnico a Milano, o come l’operaio a Taggia, o dell’operaio a Siracusa, e potrei continuare perché l’elenco è tristemente lungo.

Ma oltre a questi dobbiamo pensare anche a chi muore perchè non ha il lavoro o lo ha perduto e sfugge alle statistiche dell’Inail: ad esempio a Brembate muore un operaio che aveva perso il lavoro; in Campania due operai si sono suicidati perché senza lavoro e potrei continuare.

L’ultimo suicidio, frutto dell’abbandono della speranza, è avvenuto sabato scorso dalle parti di Salemi in Sicilia, dove un ex dipendente, Francesco Gucciardi, della Telecom Sicilia srl, società dichiarata fallita nel 2000, dopo che per 10 anni è stato prima ignorato, poi illuso, poi di nuovo ignorato, ha deciso di suicidarsi.

E queste morti, magari ci colpiscono, ma poi finiscono nel dimenticatoio per tutti, tranne che per le famiglie che anche a distanza di anni piangono i loro cari, come nel caso dello scoppio del Molino Cordero, dove dopo soli tre anni, alla cerimonia di commemorazione c’erano solo i parenti.

Non è giusto che in un paese che si definisce civile e all’avanguardia, ancora oggi, il lavoro o l’assenza dello stesso, sia una delle prime cause di morte violenta. Occorrono risposte e soluzioni.

2 Commenti
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citoyenne
citoyenne
13 anni fa

Perchè parlare di “morti bianche”? Si dovrebbero definire “stragi bianche”! E il fatto che siano notevolmente diminuite, dice bene lei, non lo si deve a nuove misure di sicurezza imposte sui posti di lavoro, ma alla catastrofica situazione occupazionale. Per cui, per gli Italiani, le morti o sono bianche o… civili, perchè un disoccupato potrebbe essere equiparato ad un morto civile! Questo con buona pace di chi sostiene che in Italia tutto va bene, che la miseria è solo percepita e non reale!
Mentre siamo in tema di lavoro, mi piacerebbe conoscere le stime delle aspettative di vita.
Tutti ci dicono che sono cresciute… ma sono cresciute per tutti? I morti per incidenti sul lavoro o i suicidi per perdita di posto di lavoro, sono annoverati nel computo? Tra un operaio che, per fortuna sua, arriva a percepire la pensione e un parlamentare o un dirigente o anche un impiegato, chi ha un’aspettativa di vita più lunga? Quando si parla di queste percentuali, dovrebbero anche essere resi noti il livello di vita condotto… o no? Perchè con il discorso delle aspettative di vita allungate, mi pare, ci stiano prendendo tutti per i fondelli… a loro la vita si allunga e noi gliela dovremo pagare… o sbaglio? Se, ponendo un caso limite, l’allora on.Bossi si fosse chiamato “operaio Rossi”, sarebbe sopravvissuto? Dove sarebbe stato curato?
Sempre con tanta stima, una citoyenne

gaspare
gaspare
13 anni fa

citoyenne, capisco la tua provocazione, perchè ovviamente è tale: quello che dici tu si potrebbe fare solo dopo la morte (come si fa a sapere quel che farà una perosna nella vita)?
certo le scelte di vita, il lavoro e tutto il resto, influiscono..



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