postato il 25 Settembre 2011 | in "Esteri, In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

La primavera araba e l’inverno europeo

“Riceviamo e pubblichiamo” di Rocco Gumina

Nel 1989 il muro che divideva l’Europa crollò, quasi, improvvisamente. In pochi anni diversi paesi dell’est sono riusciti ad incanalarsi su una via di sviluppo politico, sociale, economico che continua tutt’ora e che per alcuni stati ex satelliti dell’URSS ha portato all’ingresso nell’Unione Europea. Tale evento storico può essere accostato, seppur lontanamente, a quanto sta accadendo nei paesi del Maghreb? Certamente la storia, gli anni venturi ci mostreranno se è possibile o meno rispondere positivamente a questo quesito. Ma alcuni punti di riflessione, per comprendere la cosiddetta “primavera araba”, dobbiamo svilupparli per dirci, o ridirci, italiani ed europei in un contesto che è davvero alla nostra portata di mano, ma che drammaticamente, come Europa e soprattutto come Italia, manchiamo. E cioè la capacità di offrire a questi popoli vie reali e forti di sviluppo, facendo magari della nostra penisola, e della nostra Sicilia, un punto di snodo fondamentale per rivolgersi con credibilità al futuro proprio e altrui.

 

La “primavera araba” ci sta mostrando, in primis, una generazione protagonista che tramite Facebook e Twitter comunica e coinvolge in un modo del tutto nuovo e quasi totalmente incontrollabile. Possiamo dire, in parte, che è un cambiamento che vogliono, che chiedono i giovani africani, musulmani e cristiani insieme, per vivere con più libertà, con più protagonismo, senza avere paura di quello di negativo che può accadere nel presente o nel futuro. Giovani africani, insomma, che vogliono vivere in e con un sistema sociale molto più “occidentale”. L’Islam, la religione comunque prevalente in questi territori, non ha conosciuto il rinascimento e l’illuminismo, ma sta certamente rielaborando un episodio che ha mutato la storia dell’umanità della cosiddetta post-modernità: l’11 settembre. Questa data, questo tragico evento ha cambiato nella realtà la nostra vita. Basta prendere un aereo o analizzare le proposte politiche di qualsiasi paese o partito in occidente, per notare la rincorsa e riscossa che si ricerca a partire dalla sicurezza nazionale e internazionale. L’11 settembre ha anche cambiato, o sta cambiando, l’islam e gli stessi paesi protagonisti della “primavera araba”. Questa generazione che promuove la rivolta, il cambiamento dieci anni fa, nella maggior parte dei casi, non aveva ancora raggiunto la maggiore età. L’11 settembre 2001, dunque, da vedere anche come snodo, nella sua tragicità simbolica e reale, non solo dell’occidente ma anche del resto del mondo incluso gli stati a maggioranza islamica.

 

Occorre notare, come secondo punto, che queste rivolte sociali nei paesi del nord Africa (ma non dimentichiamo la Siria dove dall’inizio delle contestazioni contro il regime sono morti 2600 manifestanti) hanno mostrato ancora una volta la debolezza della politica internazionale dell’Unione Europea. Sono presenti, infatti, troppi individualismi fra i vari stati membri che stanno portando ad una strategia attendista, non chiara e che in definitiva nuocerà sia agli europei che ai nuovi governi della Tunisia, dell’Egitto, della Libia. La Spagna si è concentrata quasi esclusivamente verso la sponda “amica” del Marocco; la Francia, attraverso il leaderismo di Sarkozy (il quale per passare alla storia come grande statista francese doveva pur organizzare, e speriamo per lui, vincere la “sua” guerra) pompato addirittura dai filosofi francesi come Bernard Henry Lévy, sta facendo della Libia quasi una colonia, dimenticando che un’Europa unita passa oltre che da una moneta unica, anche e forse soprattutto da una politica estera comune; la Germania della Cancelliera Angela Merkel, lodata tanto nelle nostre valli molto poco nei suoi land dove accumula sconfitte elettorali impensabili, che è scomparsa inizialmente per il caso libico per poi cercare di salire sul carretto dei quasi vincitori; l’Italia che in un momento di crisi davvero epocale legge, vede e ascolta alla TV, sui giornali le debolezze di un Presidente del Consiglio mai come adesso non all’altezza della situazione, invece di progettare, stimolare, conoscere vie di crescita nel nostro territorio e nei paesi africani con sponda sul mediterraneo.

 

E infine il ruolo, o meglio, la vocazione dei cristiani in questi paesi protagonisti del cambiamento. Certamente occorre accettare e accogliere queste novità in delle regioni dove la maggioranza musulmana, a volte, sfiora il 100%. Territori, paesi, popoli che attraverso queste sofferenze, queste uccisioni stanno attraversando il loro deserto per giungere alla costruzione di democrazie che rappresentano la Terra Promessa. I cristiani in questo conteso devono sentirsi cittadini al pari dei musulmani e collaborare con essi come sentinelle che aspettano l’alba di una stagione politica, sociale, storica nuova. Cristiani che possono trovare, per il loro impegno in queste circostanze, una profonda radice nello “Spirito d’Assisi” inaugurato da Giovanni Paolo II nel 1986, quando chiamò a raccolta i rappresentanti di tutte le religioni del mondo per pregare per la pace e l’unità dei popoli.

 

La mia generazione (la stessa dei protagonisti delle manifestazioni nel nord africa) in Europa non può che sperare bene nel processo della “Primavera araba” sperando che essa non diventi presto o prestissimo “autunno arabo” e magari lasciandosi stimolare da questi cambiamenti e da questi coetanei per avere il coraggio di dire all’Europa di essere in “Inverno inoltrato”.

 

 



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