postato il 22 Maggio 2011 | in "Giustizia, In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

La mediazione

Il decreto legislativo n°28 del 2010, entrato in vigore lo scorso 20 marzo, ha introdotto nel nostro ordinamento il procedimento di mediazione finalizzato alla conciliazione delle controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili. L’introduzione di tale istituto, formalmente attuazione della direttiva 2008/52/Ce, in realtà non è altro che l’ennesimo espediente del legislatore per tentare di deflazionare il contenzioso civile, e dunque di ridurre il carico di lavoro dei giudici cercando, con la prospettiva di un procedimento più celere e soprattutto caratterizzato da notevoli esenzioni fiscali, di attirare i cittadini verso questa forma di risoluzione stragiudiziale delle controversie. Sappiamo tutti che uno fra i principali problemi che affliggono il nostro paese è da sempre la lentezza dei processi, specie quelli civili, con buona pace del principio, sancito al secondo comma dell’art.111 Cost., della ragionevole durata!

Cos’è la mediazione? Secondo l’art.1 del decreto la mediazione è <<l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa>>. La norma distingue la mediazione dalla conciliazione, a sua volta definita come <<la composizione della controversia a seguito dello svolgimento della mediazione>>. La conciliazione sarà dunque l’esito finale positivo della mediazione. Il mediatore non è un giudice o un arbitro, ma un soggetto terzo e imparziale che deve accompagnare le parti nella ricerca di una composizione amichevole della vicenda; l’accordo raggiunto non sarà un atto del mediatore, ma un vero e proprio atto negoziale delle parti.

A ben vedere, il nostro ordinamento non era del tutto estraneo a procedimenti del genere, infatti tentativi obbligatori di conciliazione sono già previsti in alcuni casi particolari quali, per fare alcuni esempi, le controversie di lavoro (per le quali la l.183/2010 ha trasformato il tentativo di conciliazione da obbligatorio in facoltativo… forse il nostro legislatore è un po’ contraddittorio?), le controversie commerciali tra imprese e tra imprese e consumatori nonché quelle che riguardano il settore delle telecomunicazioni o la materia di diritto d’autore, né bisogna dimenticare che nei procedimenti davanti al giudice di pace costui è tenuto in primis a valutare la possibilità di una soluzione condivisa della causa.

Ma adesso ci si è spinti ben oltre. La nuova normativa ha infatti introdotto la mediazione obbligatoria per tutte le controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. In tutti questi casi la procedura di mediazione costituisce una condizione di procedibilità della domanda. Ciò significa che un qualsiasi cittadino che voglia far valere in giudizio un proprio diritto o una propria pretesa attinente tali materie dovrà preventivamente rivolgersi a un organismo abilitato per la mediazione, e solo in un secondo momento potrà agire in giudizio. Per tutte le altre materie è riconosciuta alle parti la facoltà di proporre domanda di mediazione prima di adire gli organi giurisdizionali, purché la controversia riguardi diritti disponibili. Per tale ragione è previsto a carico dell’avvocato l’onere di informare chiaramente e per iscritto il cliente della obbligatorietà o della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione (e dei relativi vantaggi fiscali), e la violazione di tale obbligo di informativa da parte dell’avvocato comporta l’annullabilità del contratto tra quest’ultimo e il suo assistito. Il documento contenente l’informativa dovrà essere sottoscritto dal cliente e allegato agli atti introduttivi del giudizio.

Pertanto nelle materie sopra elencate l’esercizio della giurisdizione è condizionato dal previo esperimento di un procedimento di natura non ben identificata (non ha né natura giurisdizionale, né amministrativa) per il quale non è prevista a favore delle parti l’assistenza dell’avvocato. Anche se sembra che proprio in questi giorni il Ministro Alfano, dopo numerose pressione da parte degli avvocati, si sia accordato con i rappresentanti del Consiglio Nazionale Forense nel senso di disporre l’assistenza obbligatoria dell’avvocato durante la mediazione per controversie che abbiano un valore superiore a una soglia di 7/10 mila euro. È innegabile che l’avvocato potrebbe avere un ruolo importantissimo nel procedimento di mediazione, preparando le parti all’incontro e affiancandole durante la stesura dell’accordo finale.

Organismi di mediazione possono essere tutti gli enti pubblici o privati che ottengono l’iscrizione nell’apposito registro istituito presso il Ministero della Giustizia, che diano garanzia di professionalità e indipendenza e siano stabilmente destinati a tale attività. Ogni organismo di mediazione deve essere composto da almeno cinque mediatori. Il mediatore è un soggetto terzo e imparziale, il cui compito è affiancare le parti nella composizione della controversia, ovvero proporre egli stesso una soluzione che le parti potranno accettare o meno. A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare, data la delicatezza del compito che è chiamato a svolgere, per rivestire la funzione di mediatore non sono previsti particolari requisiti di qualificazione, essendo sufficiente un diploma di laurea (anche triennale) o l’iscrizione a un collegio od ordine professionale, accompagnati da un percorso formativo, della durata minima di sole 50 ore, oggetto del quale saranno non soltanto le normative ma anche le tecniche e le procedure di mediazione. Desta non poche perplessità dunque che non sia richiesta una preparazione strictu sensu giuridica, sebbene i soggetti in questione dovranno affrontare problemi giuridici di una certa rilevanza!

Il mediatore ha l’obbligo di riservatezza rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite durante il procedimento di mediazione; egli inoltre deve essere imparziale, perciò dovrà sottoscrivere una dichiarazione di imparzialità (a seconda di quanto previsto dal regolamento di procedura applicabile) e dare immediata comunicazione all’organismo e alle parti delle ragioni di un eventuale pregiudizio all’imparzialità nel corso del singolo procedimento di mediazione.

In linea teorica il procedimento di mediazione dovrebbe concludersi entro quattro mesi dalla presentazione della domanda di mediazione o dalla data fissata dal giudice per il deposito della stessa (ciò avviene quando il giudice rinvia l’udienza a seguito di dichiarazione di improcedibilità della domanda per mancato esperimento della mediazione nelle materie in cui è obbligatoria, ovvero nell’ipotesi di mediazione delegata, cioè quando egli stesso invita le parti a procedere alla mediazione). La legge non precisa quali siano le conseguenze dell’infruttuoso decorso di tale termine, che non è qualificato come perentorio e al quale non è collegata alcuna decadenza. In teoria dovrebbe potersi proporre domanda giudiziale senza correre il rischio che questa venga dichiarata improcedibile.

L’unica escamotage che resta alle parti per evitare la procedura di mediazione ed esercitare l’azione giudiziale è quella di non presentarsi all’incontro fissato per la mediazione; in tal caso infatti il procedimento si concluderà per mancata adesione della parte invitata.

La mediazione ha pur sempre dei costi, infatti la legge dispone che gli organismi ad essa deputati abbiano diritto ad un’indennità, e il “costo” della singola mediazione è legato al valore della controversia. Le spese sono dovute in solido dalle parti, e comprendono anche la parcella del mediatore. La mediazione tuttavia è gratuita per i soggetti ai quali nel processo sarebbe riconosciuto il gratuito patrocinio.

Se, in seguito all’esito negativo della mediazione, la sentenza sulla medesima questione rispecchia la conciliazione proposta dal mediatore, ma rifiutata dalla parte, essa sarà condannata al pagamento delle spese processuali alla controparte successive alla formulazione della proposta e al versamento di una somma a favore dello Stato. È dubbia dunque anche la proclamata economicità del procedimento in questione, dato che la parte che intende rifiutare la proposta di conciliazione e proporre domanda giudiziale, e quindi esercitare un diritto che le è garantito dalla Costituzione (art.24), corre il rischio di doversi sobbarcare le spese processuali!

È doveroso chiedersi se l’obbligatorietà della mediazione contrasti con l’art.24 della Costituzione, in forza del quale <<tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi>>. La Corte Costituzionale si è in passato espressa più volte sull’ammissibilità di forme di giurisdizione condizionata, distinguendo tra condizioni di proponibilità e condizioni di procedibilità della domanda, e considerando le prime incostituzionali poiché, comminando la sanzione della decadenza, impediscono l’esercizio del diritto di azione. Ha invece considerato costituzionalmente legittime le condizioni di procedibilità, le quali hanno il solo effetto di ritardare il momento in cui sarà esercitata l’azione giudiziale, senza però impedirla. Ora poiché la normativa in esame prescrive la mediazione quale condizione di procedibilità (e non di proponibilità) della domanda giudiziale sembrerebbe doversi considerare non contrastante con l’art.24 della Costituzione. Il problema sarà affrontato prossimamente dalla Corte Costituzionale, infatti il Tar del Lazio ha recentemente sollevato questione di legittimità costituzionale su alcune parti del regolamento emanato dal Ministero della Giustizia per introdurre la mediazione. Tra le questioni di legittimità che il giudice amministrativo ha considerato rilevanti e non manifestamente infondate ve ne è una che riguarda la parte del regolamento che obbliga il soggetto a rivolgersi previamente agli organismi di mediazione, e solo in caso di esito negativo di tale procedura alla magistratura. Attendiamo con ansia la pronuncia della Corte!

È troppo presto per fare un bilancio su questo istituto, solo il tempo potrà dirci se effettivamente funziona. Certamente è riduttivo giustificarne l’utilizzo per il solo fine di diminuire il carico di lavoro dei giudici. La mediazione dovrebbe al contrario essere uno strumento che consenta alle parti di ottenere una tutela qualitativamente migliore dei propri diritti.

Stupisce, e non poco, che il legislatore dopo aver introdotto la mediazione obbligatoria per le controversie civili e commerciali, qualche mese dopo abbia trasformato in facoltativo il tentativo di conciliazione previsto per le controversie di lavoro. I più maliziosi pensano che in realtà la riforma avesse un obiettivo celato, vale a dire la creazione di una nuova figura professionale, quella del mediatore, visto il particolare periodo di crisi occupazionale che il nostro paese sta attraversando. È pacifico che gli organi di mediazione sono proliferati negli ultimi mesi, organizzando corsi di formazione che fanno pagare fiorfior di quattrini! Insomma attorno a questo istituto si è creato un vero e proprio business, il che ci porta a pensare che, se anche gli esiti delle prime applicazioni di esso non saranno positivi, non si potrà tornare indietro e cancellare tutto con un colpo di spugna.

“Riceviamo e pubblichiamo” di Chiara D’Angelo


 



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