postato il 27 Gennaio 2013 | in "In evidenza, Riceviamo e pubblichiamo"

In ricordo di tutte le vittime dell’Olocausto

“Riceviamo e pubblichiamo” di Stefano Barbero

Fu un giorno speciale, quel fatidico 27 gennaio del 1945. Le truppe dell’Armata Rossa abbattevano i cancelli del campo di sterminio nazista di Aushwitz, in Polonia, mostrando al mondo la più grande  barbarie del Novecento. L’espressione più compiuta di tutti i crimini contro l’umanità ha avuto il suo teatro in quei luoghi del male, milioni di persone, vittime incolpevoli della follia di un uomo, deportate dalle loro case verso i forni crematori.

Nel 2000 il Parlamento italiano ha voluto istituire una giornata che ricordasse quello che è stato, una “Giornata della Memoria”, fissata in questa data così evocativa, una presa di coscienza nazionale sulla pagina più orrenda del secolo che ci siamo lasciati alle spalle.

Il valore della memoria nelle società attuali si sostanzia nella convinzione che la storia è necessariamente maestra di vita. Deve poterci indicare gli errori del passato, darci gli strumenti per voltare pagina e far calare il sipario sull’orrenda scena dell’Olocausto, assurto a simbolo del male assoluto. Del resto come potremmo dimenticarci di quei sei milioni di ebrei che hanno perso la dignità, la libertà, la vita sotto i colpi di un’ideologia criminale, che aveva la folle missione di cancellare dall’Europa un popolo intero. Ma non dobbiamo essere parsimoniosi nel ricordare, nel renderci conto di cos’è avvenuto solamente sei decenni fa, nel tenere sempre fermi i principi di giustizia, uguaglianza, libertà, umanità.

Il nostro pensiero è certamente stato condizionato dall’immaginario tremendo restituitoci dalle testimonianze dei sopravvissuti, dalle pagine di tutta una letteratura bellissima, Primo Levi, Elie Wiesel, Jonah Oberski, Anna Frank, e tanti altri, con le loro opere che valgono più di mille documentari, uomini e donne, bambini e bambine che hanno vissuto sulla propria pelle i risultati dell’odio, della sopraffazione, della coscienza criminale. La memoria è celebrazione ma anche immedesimazione nelle esistenze di chi ha visto e ha potuto testimoniare: la vita da perseguitati, la mancanza di libertà, le atrocità dei lager, la perdita di ogni diritto, persino quello alla vita. Memoria non è solo monito civile, pubblico, solenne, quello delle istituzioni, che pure è fondamentale, memoria è presa di coscienza individuale, è comprendere il significato vero di quelle parole fissate per sempre nelle pagine della mente e del cuore.

Siamo figli di una cultura che per fortuna ci ha trasmesso il rispetto delle libertà e delle diversità, i nostri ordinamenti democratici fissano in maniera chiarissima quei valori inderogabili che ci proteggono dalle derive autoritarie, illiberali e criminali. Ma non basta affidarsi ai risultati raggiunti dalle nostre democrazie e giudicare sufficienti questi argini formali per onorare chi ha finito i suoi giorni nei campi di sterminio. Occorre convincersi che da un momento all’altro il germe dell’intolleranza, dell’odio e della violenza come risposta può attecchire in certe coscienze. Dobbiamo essere forti e trarre insegnamento, soprattutto noi giovani – meno esposti alla falsa retorica e all’ipocrisia – dall’esperienza e dalla storia, trarre spunto per il nostro futuro, sulle orme di chi aveva davanti a sé la fine di tutto, ma non rinunciava a sperare in un futuro migliore, luminoso, giusto.

Oggi ci serve davvero un’iniezione di speranza. Anche per rispetto nei confronti di tutti i perseguitati che il 27 gennaio ricordiamo: gli ebrei, gli oppositori politici, i personaggi scomodi, gli omosessuali, gli zingari, i portatori di handicap, i malati di mente, i testimoni di Geova, uomini e donne come noi vittime di un’ideologia malvagia che non ammetteva i “diversi”. E la speranza è propria dei giovani, di chi crede ancora nel futuro e lo vuole bello e vivibile per tutti.

La speranza di Anna Frank, che nel suo “Diario” ci ha lasciato un passo bellissimo, indescrivibile, con un messaggio positivo sebbene fosse consapevole che la fine stava per arrivare, che dobbiamo davvero prendere a monito:

Vedo che il mondo lentamente si trasforma in un deserto, sento sempre più forte il rombo che si avvicina, che ucciderà anche noi, sono partecipe del dolore di milioni di persone, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si tornerà a volgersi al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che nel mondo torneranno tranquillità e pace. Nel frattempo devo conservare alti i miei ideali, che forse nei tempi a venire si potranno ancora realizzare!

E Jona Oberski, giovanissimo autore di “Anni d’infanzia. Un bambino nei lager”, scritto durante la sua prigionia ci ha lasciato un altro insegnamento importante:

Guarda sempre il cielo e non odiare mai nessuno

Così sarà.



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