postato il 22 Maggio 2011 | in "Giustizia, In evidenza"

Il suo nome era Giovanni

Il suo nome era Giovanni, non era mandato da Dio come il più illustre Battista, ma a muoverlo era la sua coscienza limpida e libera. Giovanni non fu un profeta, ma un fedele servitore dello Stato, eppure disse cose profetiche sulla Sicilia e sull’Italia, ne denunciò con forza il suo male oscuro e gli operatori di iniquità. Giovanni non visse nel deserto e non si cibò di locuste, ma fu costretto a vivere nel carcere dell’Asinara e a bere l’amaro calice della stagione dei veleni. Fu la speranza di molti, rimase solo e morì perché era entrato in un gioco troppo grande. Giovanni non è un santo, anche se qualcuno ne vuole fare un santino, ma è un martire, e il martire etimologicamente è colui che testimonia fino all’effusione del sangue. Giovanni testimoniò l’amore per la giustizia e la verità, la fedeltà e il servizio alle Istituzioni, la convinzione che una Sicilia e un’Italia diversa sono possibili, e la sua testimonianza non è rimasta sotto le macerie della strage di Capaci ma continua a camminare sulle gambe di tutti coloro che credono che un domani migliore è possibile se ciascuno fa qualcosa, se ciascuno fa il suo dovere.

Ricordare Giovanni, fuori dagli esercizi retorici, significa fare propria la sua testimonianza, impegnarsi perché le cose cambino, significa essere tutti Giovanni. Il suo nome era Giovanni, ma Giovanni è ora anche il nome di tutti gli italiani onesti e impegnati, di tutti coloro che il 23 maggio, non solo del 1992 ma di ogni anno che Dio ci manda sulla terra, hanno alzato la testa e detto basta alle barbarie e alla paura.

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12 anni fa

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