postato il 22 Febbraio 2010 | in "Ambiente, In evidenza, Mezzogiorno"

Il rischio idrogeologico in Calabria e Basilicata

Comuni a rischio idrogeologico in Basilicatadi Daniele Coloca e Antonio Di Matteo

Quello del dissesto idrogeologico è un tema tristemente attuale nel nostro Paese, come testimoniano le frane che hanno colpito San Fratello e Maieratio.

E’ importante aprire uno spazio di riflessione sull’argomento e porsi alcune domande su quanto sta accadendo.

Si tratta di semplici eventi naturali o piuttosto di danni dovuti a una dissennata gestione del territorio? Quali gli interventi da mettere in atto? Quali le aree del Paese dove il rischio che si verifichino eventi di questo tipo è maggiore?
In questo post riflettiamo insieme sul tema attraverso gli articoli di Daniele Coloca e Antonio Di Matteo, che hanno fatto un’attenta analisi della situazione in due regioni del Mezzogiorno, la Calabria e la Basilicata.

Il rischio idrogeologico in Calabria
di Daniele Coloca
La quasi totalità del territorio calabrese è interessata da fenomeni di dissesto idrogeologico. Il territorio calabrese è infatti un territorio con forti dislivelli (in vari punti della Regione si passa in pochi chilometri dal mare alla montagna) e geologicamente “giovane“, per cui la conformazione del territorio è spesso soggetta a modifiche naturali. La vulnerabilità del territorio calabrese al rischio idrogeologico è storicamente nota, a tal proposito è utile ricordare la definizione del Giustino Fortunato che già nel secolo scorso definì la Calabria “uno sfasciume pendulo sul mare“. Numerosi sono gli eventi di dissesto idrogeologico verificatisi in Calabria che hanno provocato numerose vittime e danni molto elevati alla già debole economia regionale. Basta ricordare a tal proposito le disastrose alluvioni del 1951, del 1972-73, ma anche i recenti fenomeni alluvionali che hanno interessato Crotone nel 1996, Soverato nel 2000, Sinopoli 2003, Cerzeto 2005, Scilla 2005, Vibo Valentia 2006, Vibo Valentia 2010.

Negli ultimi decenni, il progressivo abbandono dei territori montani, la progressiva urbanizzazione di aree un tempo disabitate (frutto spesso di uno sviluppo urbanistico dissennato e dell’abusivismo) che ha interessato spesso aree in prossimità dei corsi d’acqua o di zone in frana, ha aumentato notevolmente l’esposizione del territorio al rischio idrogeologico. In questo senso emblematica appare la tragica alluvione di Soverato del 12 settembre 2000, causata dalla presenza di un campeggio in prossimità del torrente Beltrame.
Il continuo verificarsi di questi episodi ha aumentato la sensibilità verso il problema e sta producendo un cambio di rotta culturale: non ci si deve limitare più solamente sulla riparazione dei danni ed all’erogazione di sostegni economici alle popolazioni colpite , ma occorre creare cultura di previsione e prevenzione, diffusa a vari livelli, imperniata sull’individuazione delle condizioni di rischio ed all’adozione di interventi finalizzati alla minimizzazione dell’impatto degli eventi. A seguito dell’emanazione della legge n. 267 del 3 agosto 1998 (legge Sarno), quasi tutte le regioni italiane hanno perimetrato le aree a rischio idrogeologico elevato o molto elevato. In Calabria l’Autorità di Bacino Regionale ha pubblicato nel 2001 il PAI, Piano di Assetto Idrogeologico Regionale che ha posto vincoli alla realizzazione di opere nelle aree a rischio elevato o molto elevato di alluvione o di frana.
Parallelamente è stato notevolmente potenziato il sistema di allertamento per preannunciare possibili fenomeni di dissesto idrogeologico e porre in atto tutte le iniziative necessarie a mettere in sicurezza la popolazione durante il verificarsi di eventi calamitosi. Il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile ha costituito la rete dei Centri Funzionali, che, ai sensi della Direttiva del Presidente del Consiglio del 27.02.2004, gestisce il sistema di allertamento sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile.
l’Italia intera si sbriciola sotto l’incuria e i continui abusi, nella penisola ci sono 7 comuni su 10 ad un rischio idrogeologico altissimo. Ma le colpe non derivano solo dalla natura, ci sono le amministrazioni dietro i disastri ambientali da nord a sud che hanno permesso la realizzazione abusiva di edifici in zone di esondazione. La natura non fa sconti, prima o poi, gli errori ricadono addosso a chi li ha compiuti, seminando la morte, come vediamo a Messina a Vibo Valentia e in tutti i comuni colpiti da questa tragedia. Numeri e cifre, nella loro durezza, confermano la sua tesi: più il territorio italiano è sfruttato, martoriato, mal¬governato, più l’Italia si sbriciola e si impantana in una melma che ingoia vittime, provoca crolli, dispersi, assenza d’acqua potabile, quindi disperazione. Proprio Legambiente certifica che nel 77% dei comuni sono state costruite abitazioni e nel 56% fabbricati industriali in aree a rischio. Ancora numeri, eloquentissimi, 5.581 comuni italiani a ri schio idrogeologico di cui 1.700 per frane, 1.285 per alluvioni, 2.596 per frane e alluvioni insieme.
Proprio vero, la natura non fa mai sconti. Ciò che riceve, restituisce, nel bene come nel male. Una terra tutelata restituisce una sicura protezione idrogeologica. Una terra violentata non può far altro che produrre altra violenza. Non per ché sia matrigna ma perché l’uomo le ha sottratto gli strumenti per proteggere proprio se stesso.
Come non vedere la totale indifferenza verso il paesaggio e le sue regole. Paesaggio vuol dire anche assesto idrogeologico. Ma come si fa quando l’agricoltura è totalmente abbandonata, i corsi d’acqua e i boschi non vengono curati, le colline sono tagliate senza curarsi delle vene idriche, si costruisce dissennatamente nei posti più sbagliati, poi arriva la catastrofe e si piange…
Ancora oggi non si capisce che un paesaggio rispettato non favorisce solo la bellezza del panorama ma produce turismo, agricoltura e ricchezza per tutti.

Ci possiamo salvare
di Antonio Di Matteo
Il dissesto idrogeologico è l’insieme di tutti quei processi morfologici e superficiali che hanno un’azione fortemente distruttiva in termini di degradazione ed erosione del suolo e indirettamente nei confronti dei fabbricati costruiti dall’uomo. Tutti sappiamo della conoscenza delle istituzioni in riguardo alla gravità della situazione, infatti “il rischio idrogeologico – si legge sul sito della Protezione Civile Italiana – è stato fortemente condizionato dall’azione dell’uomo e dalle continue modifiche del territorio che hanno, da un lato, incrementato la possibilità di accadimento dei fenomeni e, dall’altro, aumentato la presenza di beni e di persone nelle zone dove tali eventi erano possibili.”
Da un’analisi di Maurizio Bolognetti, Segretario Radicali Lucani, “oggi, il 38% delle vittime di alluvioni in Europa sono italiane. Le cause? La risposta è semplice: una diffusa cementificazione delle aree adibite un tempo alle piene dei fiumi. Una dissennata gestione del territorio con deviazioni di fiumi, cementificazione degli argini e deforestazione.”
L’urbanizzazione delle aree a rischio idrogeologico è molto presente in tutta la penisola italiana, ed è proprio l’eccessiva antropizzazione delle suddette aree e delle zone in prossimità di versanti franosi, rappresenta il principale elemento di preoccupazione. Il problema è nazionale, governativo, e molto si potrebbe fare per organizzare un piano serio per salvare il territorio. Ma purtroppo l’Italia si è dimostrata brava a monitorare e tamponare, dimenticandosi la principale azione nella mani dello Stato: la prevenzione attiva.
Mi riferisco a tutte le opere necessarie per la messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale a rischio, ben 3.671 i Comuni a rischio idrogeologico. Da indagini di Legambiente, si evince che “nel biennio 2000/2001 lo Stato ha speso quasi 1,7 miliardi di Euro per interventi rivolti a riparare i danni delle maggiori calamità idrogeologiche. Spese che hanno prodotto pochi miglioramenti nella sicurezza del territorio, “pezze” sistemate qua e là per salvare il salvabile quando la carica distruttiva dell’evento si era ormai sprigionata. Se solo una parte dei fondi utilizzati per l’emergenza fossero impiegati per la manutenzione ordinaria del territorio e per opere di difesa idraulica compatibili con l’ambiente, si potrebbe finalmente ridurre il livello di rischio idrogeologico del nostro Paese, con più sicurezza per i cittadini e minori esborsi per lo Stato.”
Oltre all’azione svolta da Roma, ci sono anche le azioni dei singoli Comuni. Dal rapporto annuale “Ecosistema Rischio 2009” di Legambiente, si rammenta alle autorità locali che attraverso: “attività ordinarie di gestione del territorio, quali la corretta urbanizzazione la manutenzione degli alvei e delle opere idrauliche, gli interventi di delocalizzazione delle aree a rischio, nonché l’adeguamento alle norme di salvaguardia dettate dai Piani di bacino; e redazione dei piani di emergenza, aggiornati e conosciuti dalla popolazione, perché sappia esattamente cosa fare e dove andare in caso di emergenza, nonché l’organizzazione locale di protezione civile, al fine di garantire soccorsi tempestivi ed efficaci in caso di alluvione o frana.”
Sempre dal rapporto di Legambiente si nota che in Basilicata sono 123 su 131, “i comuni a rischio idrogeologico, individuati dal Ministero dell’Ambiente di cui 56 a rischio frana, 2 a rischio alluvione e 65 a rischio sia di frane che di alluvioni. Il primato negativo del rischio idrogeologico nel territorio lucano è detenuto dalla provincia di Matera, con tutti i comuni a rischio”, 31 su 31.

Secondo le pagelle di Legambiente, nate per stimolare i Comuni a comportamenti virtuosi, la maglia rosa della nostra regione spetta a Cirigliano, viceversa, la maglia nera spetta al Comune di Grottole. Resta però da annotare la poca partecipazione che i primi cittadini lucani hanno profuso nella collaborazione con l’associazione ambientalista italiana. Bisogna prima di tutto investire, in ricerca e opere di stabilizzazione del territorio, ma si potrebbe anche iniziare da un serio piano di emergenza e da una campagna di informazione della popolazione. Basta poco per iniziare, ma la strada è molto lunga. Ci sono di mezzo le nostre vite, sono i numeri che parlano.

6 Commenti
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nicolò
nicolò
14 anni fa

Sicuramente ad aumentare questo rischio idrogeologico è stato l’abusivismo edilizio, gli incendi e la mancanza di fondi per la tutela dell’ambiente.

Gianluca Enzo
Gianluca Enzo
14 anni fa

questa é un’Italia che prima si fanno i danni e poi ci si mette le mani nella testa, programmazione, parola sconosciuta

Orazio
Orazio
14 anni fa

La verità,o almeno quella che io credo tale,e’ che almeno per le regioni del Sud andrebbe messo in atto un piano strutturale di messa in sicurezza.Ma dubito che vi siano personalità tali da assumersi questa responsabilità.

Cristina Signifredi
Cristina Signifredi
14 anni fa

Per spiegare il dissesto idrogeologico, oltre a considerare le cause naturali, bisogna tener conto dell’azione distruttiva dell’uomo. Negli ultimi decenni qualcosa è cambiato nell’equilibrio idrogeologico del territorio e si è superato il punto di non ritorno. I problemi iniziano quando l’acqua piovana entra in contatto con il suolo. Questo perchè il territorio italiano è radicalmente cambiato negli anni. Sono aumentate le superfici in cemento e asfalto ( aree impermeabili) che impediscono all’acqua piovana di infiltrarsi nel terreno, costringendola a scorrere in superficie e a riversarsi nei fiumi, gonfiandoli e finendo rapidamente in mare, aumentando così considerevolmente il rischio di alluvioni e tracimazioni.
Prima i boschi erano ben curati e non c’era una canalizzazione eccessiva. Le acque piovane utilizzavano il doppio del tempo per arrivare al fiume. Le possibilità che l’acqua evaporasse e si infiltrasse erano decisamente maggiori e quindi il territorio era più protetto. La paura delle alluvioni, la necessità di costruire hanno portato all’irrigimentazione esasperata, al disboscamento scriteriato e agli incendi, fattori che erodono più velocemente il terreno e lo preparano alle catastrofi .
Purtroppo tutta l’Italia è ad alto rischio idrogeologico ,in quanto è un paese giovane. Cause del dissesto idrogeologico sono l’abbandono delle zone montane, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente, il prelievo abusivo di inerti dagli alvei dei fiumi, la mancata manutenzione dei corsi d’acqua e dei versanti ,l’estrazione incontrollata dei liquidi.
Gli interventi da attuare sono una maggior cura e un maggior rispetto dell’ambiente, una maggior accortezza nell’analizzare i siti in cui costruire e una maggior attenzione nell’individuare le azioni da attuare.

Cristina Signifredi
Cristina Signifredi
14 anni fa

Cause del dissesto idrogeologico sono l’abbandono delle zone montane, l’abusivismo edilizio, il continuo disboscamento, l’uso di tecniche agricole poco rispettose dell’ambiente, il prelievo abusivo di inerti dagli alvei dei fiumi, la mancata manutenzione dei corsi d’acqua e dei versanti ,l’estrazione incontrollata dei liquidi.
Gli interventi da attuare sono una maggior cura e un maggior rispetto dell’ambiente, una maggior accortezza nell’analizzare i siti in cui costruire e una maggior attenzione nell’individuare le azioni da attuare.

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13 anni fa

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