Tutti i post della categoria: Memoria

Il mio sogno è rivedere un Papa in Parlamento

postato il 13 Novembre 2022

La visita di Wojtyla 20 anni fa e la spinta decisiva di Ciampi

La mia intervista al Corriere a cura di Paolo Conti

«Non voglio solo ricordare la straordinaria visita di Giovanni Paolo II a Montecitorio di vent’anni fa, il 14 novembre 2002. Perché ho un sogno per oggi: rivedere un Pontefice come Francesco in Parlamento. Abbiamo capito da tempo che la Chiesa non è solo una grande risorsa per la Nazione: le opere di volontariato, il sostegno alla crescita dei giovani, il richiamo permanente alla centralità dell’uomo. C’è anche la presenza della Santa Sede sul nostro territorio: l’importanza diplomatica dell’Italia in varie aree del mondo è possibile grazie a questa particolarità, così come una diplomazia “parallela” come quella di sant’Egidio…». Pier Ferdinando Casini accolse, da presidente della Camera, Giovanni Paolo II nel 2002. Ora ricorda quelle ore, da decano del Parlamento, guardando anche al nostro tempo.

Che ricordo ha di quel giorno e di quel clima?
«Fu un atto che sancì la fine di una pagina di storia. La frattura tra Stato e Chiesa era già alle spalle ma il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi la visse così. Ricordo anche che, quando mi misi al lavoro per la visita in collaborazione con il presidente del Senato Marcello Pera e in linea con il solco tracciato dai nostri predecessori Luciano Violante e Nicola Mancino, come deve avvenire in una corretta logica di continuità istituzionale, registrammo un po’ di freddezza dalla macchina del Quirinale».

E per quale motivo? Ciampi non era d’accordo?
«Mi riferisco alla struttura burocratica del Quirinale che aspettava da tempo una visita di Stato del Papa sul Colle e ne rivendicava la precedenza. Capii che quell’ostacolo avrebbe potuto intralciarmi. Ne parlai direttamente con Ciampi che aveva un fantastico rapporto con Wojtyla e, con una sua immediata sfuriata, raddrizzò la rotta. Volle essere presente al centro dell’Aula: a un azionista come lui, anche se cattolico praticante, non sfuggiva la valenza storica dell’evento».

Una frase che le rimane in particolare nella memoria?
«Tantissime. Ma in particolare quel suo “Dio benedica l’Italia”. Un atto d’amore verso il nostro Paese da parte di un Papa polacco, il primo pontefice straniero dopo secoli, sempre vissuto lontano da Roma che però si era intimamente identificato nella nostra Nazione. Tanti della mia generazione lo hanno visto come il nostro Papa».

Ci furono difficoltà politiche?
«Temevo freddezze dall’anima non laica ma laicista di alcune parti. Temevo anche, vista la base che ci aveva eletti, che potesse apparire un’operazione marcata politicamente: per questo ci richiamammo molto ai nostri predecessori. Ma il problema non si pose per fortuna: i più entusiasti furono alla fine proprio quelli che potevano destare maggiori preoccupazioni, inclusa l’estrema sinistra. Ricordo lo spessore molto importante del discorso di Pera che non a caso sarebbe diventato di lì a poco l’interlocutore privilegiato di Benedetto XVI. E ricordo alcuni siparietti di politici presentati al Papa. Bossi gli disse: “Santità, qui ci sono solo due stranieri, lei che è polacco e io che sono padano”».

Altri ricordi dal punto di vista umano?
«Vidi il Papa in tv e mi accorsi delle sue difficili condizioni fisiche. Telefonai al suo segretario, oggi cardinale, Stanislao Dziwisz. Chiesi come avrebbe potuto fisicamente raggiungere l’Aula dall’ingresso della Camera. Lui rispose: “Ci penserà la Provvidenza”. E così andò. Non ci fu bisogno della sedia a rotelle che avevamo preparato».

In quanto ai temi trattati da Giovanni Paolo II?
«Penso a un tema che gli era molto a cuore, da polacco: l’identità cristiana dell’Europa. Ma anche al dialogo interreligioso, all’impossibilità di qualsiasi guerra nel nome di Dio, ai carcerati. Ricordo che nelle carceri ci furono manifestazioni di entusiasmo e il Parlamento rispose all’appello del Papa, anche se troppo timidamente. Tutti temi che appartengono alla sensibilità di papa Francesco che pure viene da un mondo diverso: nella storia della Chiesa c’è più continuità di quello che a volte sembra».

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Wojtyla, un Papa contro tutti i totalitarismi

postato il 17 Maggio 2020

«Combattè non solo il comunismo, ma chiunque negasse dignità e libertà»
Domani sono i 100 anni dalla nascita di di Giovanni Paolo II: l’anniversario verrà celebrato alle 7 di mattina con la Messa, celebrata davanti all’altare della tomba da Papa Francesco, in mondovisione

 L’intervista pubblicata su Quotidiano nazionale a cura di di Antonella Coppari

 

Senza dubbio è il Papa più politico che ci sia stato tra gli ultimi Pontefici. Nessuno più di Giovanni Paolo II ha legato il suo nome a una battaglia non solo religiosa ma anche ideologica contro le dittature nell’Europa dell’Est da cui pure lui, polacco, proveniva. Presidente Pier Ferdinando Casini, è difficile sfuggire alla sensazione di trovarsi di fronte all’ultimo grande Papa guerriero, quasi un condottiero che ha sconfitto il comunismo. Condivide questa lettura?
«Non il comunismo, ma il totalitarismo. Qualcosa di più. Papa Giovanni Paolo II ha sempre combattuto la connivenza con le dittature. Con coloro che negano agli uomini il valore della dignità e della libertà».

Quello di Wojtyla era un europeismo che non dimenticava le radici cristiane.
«Sì, assolutamente. Una delle grande questioni che Giovanni Paolo II ha sollevato è stato il tema dell’identità cristiana dell’Europa. Un’Europa che diventa necessariamente multiculturale e
multireligiosa, senza disperdere però la sua identità. È vero che Wojtyla ha aperto la via al dialogo interreligioso, ma nella consapevolezza che avendo un’identità cattolica forte si può parlare con tutti».

Oggi viene arruolato nella galassia sovranista.
«Figuriamoci. Non è mai stato nazionalista. È stato piuttosto uno dei grandi costruttori dell’Europa, nella grande tradizione degasperiana. Semmai è stato un sovranista europeo».

Il 14 novembre 2002 lei lo accolse nella sua veste di Presidente a Montecitorio: una visita unica nella storia. Quale fu la sua lezione politica?
«Quella visita simboleggiò il suo amore per l’Italia e gli italiani. Ci richiamò all’attenzione verso gli ultimi. Ci fece pensare ai carcerati, a coloro che soffrivano, dimenticati spesso anche dalla politica».

Eppure, già stava male.
«Infatti. Io andai da lui e lo invitai in Parlamento. Ma qualche giorno prima dell’evento vidi in tivù che faceva fatica a parlare. Chiamai il segretario, Stanislaw Dziwisz, e gli dissi: “Ma come fa
il Papa a venire? C’è parecchio da camminare dall’ingresso fino all’aula“. Le sue parole furono: “La provvidenza ci penserà. Il Papa è tranquillo. Non si preoccupi“. E in effetti, avvenne il miracolo. Tutti pendevamo dalle sue labbra».

Ma il Parlamento non ascoltò la richiesta di un provvedimento di clemenza per i detenuti.
«Non trovammo l’accordo. Però l’anno dopo, nel 2003, il Parlamento varò il cosiddetto “indultino”».

Quali sono stati i tratti salienti di Wojtyla?
«È stato un uomo capace di parlare al mondo abbattendo tutti i confini politici, ideologici e religiosi. Ha saputo rendere la Chiesa protagonista, mantenendo un’umanità senza frontiere. In
grado, come nessun altro, di comunicare con i giovani».

Su temi come la famiglia e la vita Giovanni Paolo II era il rigorista che viene dipinto?
«Credeva nei valori non negoziabili tanto da farne una pietra angolare del suo Pontificato. Ma è stato pure il Papa che ha emanato le direttive per spingere le parrocchie ad aprire al dialogo con divorziati e risposati prendendo atto della realtà. Non voleva escludere nessuno».

Anche Papa Francesco è un Pontefice “politico“. C’è continuità tra i due papati?
«Sono due personalità molto diverse perché diversa è la loro formazione. Però se penso al discorso di Wojtyla in Parlamento, al suo appello per i detenuti, al tema del dialogo interreligioso,
all’attenzione verso i deboli e gli immigrati credo che una continuità ci sia»

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L’intervento al convegno “Economia e società nel pensiero di Emilio Rubbi”

postato il 16 Luglio 2019

A Bologna con il Presidente della Repubblica nel ricordo del grande amico Millo Rubbi

La parabola umana e politica di Emilio Rubbi è iscritta profondamente nella storia della comunità bolognese e nazionale. La cerimonia odierna testimonia di un legame ancora vitale, che non ha perso nulla della sua forza originaria.
Se coltivare la memoria ed essere gelosi delle nostre radici migliori ha ancora un senso, ciò è testimoniato oggi dalla presenza, nella sede della nostra Fondazione, del Presidente della Repubblica, interprete saggio e lungimirante dell’unità della nostra Nazione. Con lui abbiamo condiviso un sentimento di familiarità e di amicizia, con Millo: la sensibilità personale del suo gesto è più eloquente delle mie parole. Per quanto mi riguarda aggiungo nei confronti di Rubbi una profonda gratitudine per come ha saputo essermi vicino nei primi anni della mia esperienza politica.
A distanza di 19 anni dalla sua scomparsa, possiamo vedere ora con chiarezza la linea di continuità che unisce le tappe del suo percorso: in tutti i prestigiosi incarichi che ha ricoperto ha sempre saputo coniugare un appassionato e leale impegno civile a una grande competenza tecnica nel settore finanziario e industriale mettendoli al servizio delle Istituzioni e della sua città.
Formatosi nell’Azione Cattolica bolognese e dal punto di vista scientifico nell’Università di Bologna, egli iniziò il suo impegno civile e la sua storia pubblica nel ’56, con l’esperienza politica di Dossetti fino a diventare – grazie alla stima personale di Paolo VI – amministratore dell’Azione Cattolica nazionale, a fianco di un’altra straordinaria figura del laicato cattolico italiano, Vittorio Bachelet.

Rubbi è appartenuto a quella generazione che ha portato emiliano romagnoli di grande spessore, cultura e passione civile ai vertici della politica italiana.
Per lunghi anni fu collaboratore di Angelo Salizzoni, fedele sottosegretario di Aldo Moro di cui Rubbi fu sempre un leale sostenitore. Da subito emerse per la solidità delle sue convinzioni, la lucidità dei suoi interventi, la limpida concretezza delle sue iniziative. In Parlamento lo ricordiamo accanto a colleghi prestigiosi come Nino Andreatta, Giovanni Bersani, Virginangelo Marabini e Giancarlo Tesini, che voglio salutare qui come socio della nostra Fondazione. Non mancando di ricordare che tra i suoi giovanissimi colleghi, nei primi anni ’80, figurava anche l’attuale presidente dell’ABI, Antonio Patuelli. [Continua a leggere]

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Casini ricorda la Marri «Era un’amica leale. Sempre vicina ai più umili»

postato il 22 Ottobre 2018

Oggi cerimonia al Giovanni XXIII

L’intervista di Donatella Barbetta sul Resto del Carlino

Senatore Pier Ferdinando Casini, come ricorda Maria Cristina Marri?
«È stata una donna con tre rare qualità. Prima di tutto partirei dalla lealtà, intesa non come fedeltà in senso quasi servile, ma come amicizia nella buona e nella cattiva sorte. Era un aspetto tipico di Cristina, non facile da trovare».
E le altre caratteristiche?
«Aveva una grandissima passione per la politica, un elemento importantissimo in un momento in cui i più giovani non sanno più che cos’è la politica oppure la confondono con le farneticazioni della Rete. Il suo impegno in consiglio comunale e in Regione è stato eccezionale. E poi si è occupata tanto di temi sociali, stando vicino alla gente più umile, disponibile e con il telefono sempre aperto, mostrando una grande capacità di ascolto, virtù anche questa sempre meno presente tra gli amministratori. Ha fatto bene il suo lavoro per la città».
In tanti anni di vicinanza politica, che cosa l’ha colpita di più?
«Le sue lacrime quando sono stato eletto presidente della Camera, nel 2001. Tuttavia, vorrei sottolineare che è stata anche una donna scomoda, che sapeva criticare a viso aperto. La sua era una lealtà impegnativa».
Quando vi siete visti per l’ultima volta?
«In ospedale. Straordinari il decoro e la dignità con cui ha affrontato la malattia, è stata un gigante, ha mostrato come si esce di scena. Anche durante il ricovero, non rinunciava a essere il solito centralino telefonico al quale aveva abituato tutti. E quando non ha più risposto, era solo perché non ce la faceva. Sono grato al Comune – osserva Casini – che ha pensato di intitolare a Cristina, a lungo anche consigliera d’opposizione, la Comunità alloggio per anziani over 65 dell’Asp».

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In memoria di Helmut Kohl

postato il 4 Luglio 2017

Il mio intervento al convegno organizzato alla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani insieme al Presidente del Senato, Pietro Grasso, al Presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, al Senatore a vita, Mario Monti e al Ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Angelino Alfano.

 

Oggi il Senato della Repubblica onora un grande europeo tedesco, un gigante del nostro tempo, un democratico cristiano che ci ha insegnato qual è il cuore e l’essenza della politica.
Sono grato al Presidente Grasso per aver condiviso l’idea di fermarci oggi insieme a riflettere su questa straordinaria testimonianza.
Saluto, oltre ai prestigiosi relatori, gli illustri ospiti e gli ambasciatori accreditati; in particolare l’ambasciatrice della Repubblica Federale di Germania, Susanne Wasum-Rainer.
Il nome di Helmut Kohl può a pieno titolo essere associato ai grandi statisti della ricostruzione europea, da Alcide De Gasperi a Konrad Adenauer. Ma a me viene in mente di avvicinarlo ad un’altra grande personalità, che io ho avuto l’onore di accogliere nel Parlamento italiano: Giovanni Paolo II.
Sì, Helmut Kohl e Giovanni Paolo II hanno dato un’impronta indelebile alla storia del ‘900.
Grazie alla loro straordinaria tensione morale e alta intelligenza politica hanno concorso più di ogni altro all’abbattimento dei muri che la storia aveva impropriamente collocato nel centro dell’Europa.
Il Grande polacco e lo statista tedesco sono stati gli artefici principali della riunificazione: grazie a loro si sono disintegrati i muri, segno su cui tutti noi oggi dovremmo riflettere.
Le grandi pagine di storia coincidono con la capacità di prendersi per mano e non certamente di innalzare steccati divisivi.
Essi ci hanno riconsegnato un’Europa nella sua dimensione storica e geografica, consentendo a tutti noi di riabbracciare fratelli con i quali abbiamo vissuto l’amarezza di laceranti separazioni.
Basterebbe questo per consegnare alla storia Helmut Kohl, l’uomo della riunificazione tedesca e della unificazione europea; colui che ci richiamava, come anni prima aveva fatto De Gasperi, alla necessità di dare un’anima all’Europa, convinto che senza una politica estera e di difesa comune difficilmente l’economia e la moneta unica avrebbero potuto reggere a lungo l’affanno e il decorrere dei tempi.
Ma oggi è giusto ricordare con un esempio concreto in che cosa si sia manifestata la sua diversità rispetto all’ordinarietà di altri leader politici. Alla vigilia della riunificazione tedesca, egli decise la parità tra il marco dell’est e quello dell’ovest, pur in presenza di opinioni ferocemente contrarie da parte della constituency finanziaria ed economica tedesca, della Bundesbank e delle associazioni degli industriali, oltre che di gran parte dei suoi elettori.
Quella scelta probabilmente determinò la sconfitta di Kohl alle elezioni successive, ma grazie ad essa oggi vediamo una Germania unita e forte, che in pochi anni ha colmato gli squilibri tra la parte più progredita del Paese e quella arretrata, per gli errori del sistema comunista.
Strasburgo, sede del Parlamento europeo, ha onorato sabato il Cancelliere tedesco e tanti statisti mondiali ne hanno ricordato le caratteristiche peculiari.
Lo faremo anche noi oggi con testimonianze inedite ma io vorrei concludere con due annotazioni.
Oggi rendiamo un tributo di affetto ad un grande amico dell’Italia, ad un uomo che in frangenti difficili per la nostra storia nazionale non ha mai mancato di tenderci la mano. Ricordo a tal proposito le confidenze di Carlo Azeglio Ciampi che con il cancelliere ebbe un rapporto particolare. Nel momento in cui nei salotti della finanza europea molti ipotizzavano un euro senza l’Italia, Helmut Kohl, sfidando perplessità anche legittime, spiegò a tutti che un’Europa senza l’Italia sarebbe stata semplicemente un non senso.
Accanto a Germania e Francia, l’Italia svolse in quegli anni, e a mio parere dovrà continuare a svolgere per il futuro, un ruolo di avanguardia europea nella convinzione che la relazione franco-tedesca quando è all’altezza delle sfide della storia non può mai essere esclusiva.
L’ultima annotazione è un ricordo personale: ho conosciuto Helmut Kohl tanti anni fa e ho condiviso con lui momenti per me indimenticabili. Dall’informalità di serate nella sua birreria preferita di Berlino ad occasioni analoghe in Roma negli anni seguenti al suo abbandono della Cancelleria, non è facile descrivere che cosa si provava di fianco ad un monumento della storia.
Io ne ho visto un uomo di grande umanità, di profonde convinzioni ideali e di grande orgoglio nel superare le amarezze anche personali che la vita pubblica e quella privata gli avevano inflitto.
Penso che, come spesso capita, in questi giorni sia stato restituito al Cancelliere Kohl ciò che i percorsi tormentati della politica e della vita a volte gli avevano tolto.

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Guazzaloca: Giorgio ti abbiamo voluto bene, sei stato un padre per Bologna

postato il 29 Aprile 2017

L’orazione funebre ai funerali dell’ex sindaco di Bologna, Giorgio Guazzaloca, nella Cattedrale di San Pietro.

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Grazie Giorgio

postato il 26 Aprile 2017

Il mio ricordo nell’Aula del Senato: Guazzaloca ha servito Bologna con disciplina e onore.


Signora Presidente, colleghi, vi chiederei un attimo di silenzio perché ho un adempimento certamente non gradevole.
Col cuore affranto e con una grande commozione, annuncio a questo Senato la scomparsa, avvenuta nelle prime ore di questo pomeriggio, di Giorgio Guazzaloca, già sindaco della città di Bologna dal 1999 al 2004.
Da dove incominciare? Potrei ricordare la sua straordinaria esperienza associativa, prima come presidente della Confcommercio, poi come presidente della camera di commercio, da sempre come presidente nazionale della Federmacellai (non a caso molti, lo ricordano come il macellaio più famoso d’Italia). Successivamente, ha fatto parte dell’Antitrust e del consiglio di amministrazione di Mediobanca. Ma a poco serve l’arida elencazione di questi incarichi; rischia di non significare nulla.
Giorgio Guazzaloca è stato lo straordinario e singolare protagonista della prima e unica sconfitta storica della Sinistra nella città di Bologna, anticipando probabilmente la caduta di uno dei muri più significativi dell’Occidente. In questa veste ne hanno parlato tutti i giornali, europei e mondiali, e per questo è stato conosciuto dall’opinione pubblica italiana. Tuttavia, oggi lo piange l’intera città, al di sopra e prima degli schieramenti politici. Si stringono in questo grande dolore il primo cittadino, il sindaco Merola, fino all’ultimo bolognese.
Dopo anni e anni di sofferenze indicibili, cominciate qualche mese dopo la sua elezione a sindaco, che ne hanno martoriato il fisico e l’esistenza, oggi possiamo ben dire che si è conclusa la parabola umana di una delle personalità simbolo della nostra città.
Non so se i tempi che viviamo producano più persone di questo spessore, ma so che Guazzaloca ha condensato tutti i simboli della bolognesità: uomo di famiglia umilissima, si è fatto strada da solo in un cammino tormentato, che lo ha portato a rimanere vedovo con due figlie adolescenti e ad affrontare, quasi come per scommessa, i percorsi tormentati della vita politica.
Giorgio si porta via un pezzo della nostra città perché è sempre stato Bologna: dal culto della Madonna di San Luca, coltivato laicamente, al girovagare come sindaco sotto ai portici e tra le torri della nostra città; dalla statua di San Petronio restituita ai bolognesi, all’amore per i colori rossoblu e per la nostra squadra di calcio dagli anni dello scudetto del 1964.
Oggi se ne è andato ma, forse, in realtà, ci aveva lasciato molto prima. Ci accompagnerà sempre, però, la sua innata bolognesità, la sua onestà intellettuale al limite del provocatorio, segnata da una visione alta e nobile della politica e il suo rigore etico.
Colleghi, se mi consentite, vorrei concludere non con le mie parole, senz’altro velate da un’amicizia personale profondissima; vorrei citare le parole del professor Prodi, del Partito Democratico bolognese, ma terminerò con parole sintetiche della presidente del consiglio regionale dell’Emilia-Romagna, che ha detto qualche parola che credo a Giorgio avrebbe fatto molto piacere sentire. Ha ricordato così questo sindaco: «Ha servito con disciplina e onore la sua città».
Grazie Giorgio

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Ciampi: ha ridato al Paese l’orgoglio di essere italiani

postato il 18 Settembre 2016

ciampi_casiniL’intervista di Marco Ventura pubblicata su Il Messaggero

Fu con Ciampi al Quirinale che entrò nel gergo della politica l’espressione «bipartisan»? Pier Ferdinando Casini, presidente della Commissione Esteri al Senato e all’epoca presidente della Camera, invita a «capire il contesto in cui Ciampi fu eletto nel 1999: si veniva da una presidenza Scalfaro in alcuni passaggi molto divisiva, il clima politico era incandescente. C’era l’esigenza di un voto ampio per evitare la solita bagarre dei franchi tiratori e delle votazioni interminabili».

Non c’era la candidatura del popolare Franco Marini?
«Veltroni virò immediatamente sul nome di Ciampi e attorno a quella scelta costruì un consenso ampio. Il centrodestra non vedeva l’ora di votare un candidato non solo super partes, ma che apparisse anche tale. Il partito della sinistra non portò popolari al voto, e dietro la spinta di Veltroni propose senza esitazione Ciampi».
Cinque dei suoi 7 anni furono poi segnati dalla coabitazione con Berlusconi.
«Non furono anni facili e al netto della cortesia, Ciampi non ha mai amato Berlusconi. Però lo ha sempre rispettato, rispettando con lui il risultato delle urne. Chi ha lavorato molto, e molto bene, per smussare gli angoli, è stato Gianni Letta, nel quale Ciampi aveva una fiducia totale. È stato un gioco di pesi e contrappesi, di moral suasion esercitata con intelligenza dal Presidente».
Momenti di maggior disaccordo e, invece, condivisione?
«Il cammino della legge Gasparri fu costellato da una sorveglianza stretta del capo dello Stato che non ne condivideva l’impianto. Fu un continuo lavoro di correzione, esercitato in modo morbido. In realtà quella legge respinta per alcuni articoli alle Camere era stata già molto emendata dall’operato sottotraccia di Ciampi. I presidenti della Repubblica non hanno il compito di farsi applaudire ma di incidere. Ciampi lo ha fatto con determinazione. Se non ci fosse stato questo lavoro, non ci sarebbero stati neanche i momenti di unità fondamentali che ci consentirono di affrontare quei tempi».
Per esempio?
«Ricordo il suo straordinario spessore umano la notte in cui rientrarono i caduti di Nassiriya. Dalle famiglie era visto come un nonno che non li lasciava soli. Ciampi si schierò subito per l’unità nazionale e non diede spazio ad alcuna possibile polemica. Per questo subì contestazioni dalla sinistra, che lo accusava di non essere sufficientemente assertivo contro Berlusconi. Il che dice quanto il suo atteggiamento sia stato equilibrato e ispirato al senso dello Stato». [Continua a leggere]

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Iraq: Parlamento riconosca genocidio yazidi

postato il 27 Giugno 2016

IMG_7957Questa mattina una delegazione del Senato della Repubblica composta da me e dal senatore Luigi Compagna ha incontrato a Erbil dei rappresentanti yazidi del parlamento iracheno che, ringraziando il Parlamento italiano per il sostegno ricevuto, hanno illustrato la drammatica situazione perpetrata ai danni del popolo yazida da parte degli uomini del Califfato, spiegando come siano ancora 3400 le donne e 700 bambini nella mani del Daesh.

Con loro una giovane donna yazida del villaggio di Shengal, rapita dall’Isis, torturata e costretta in schiavitu’, cui l’Isis ha avvelenato i suoi tre figli, di poco meno di 2 anni, e ucciso il marito.
“È terribile ascoltare questi racconti che ci rimandano alle peggiori pagine delle tragedie umane, dai campi di concentramento nazisti ai gulag staliniani. Queste donne hanno subito privazioni indicibili. Il Parlamento italiano opererà affinché questa pagina buia venga riconosciuta come genocidio”.

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Venti anni fa

postato il 23 Maggio 2012

di Giovanni Villino

Sono passati venti anni. Quella sera è ancora viva e nitida nei colori e nei brividi che correvano lungo la schiena. Mi trovavo a casa dei nonni. Nella terrazza dei vicini si festeggiava un compleanno. Ad un certo punto ricordo lo squillo del telefono e la musica abbassarsi improvvisamente. Uno dei ragazzi, dopo aver parlato al telefono, tornando in terrazza dice: “Mario non può venire, c’è l’autostrada bloccata. Un attentato”. Corro in casa. Pochi istanti e la sigla del Tg1 “edizione straordinaria”.

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