Tutti i post della categoria: Esteri

«Va bene aderire alla Nuova via della seta però bisogna muoversi in ambito europeo»

postato il 13 Marzo 2019

Ha ragione Prodi a chiederci di esporre la bandiera europea il 21 marzo

L’intervista di Marco Ventura pubblicata sul Messaggero

Va bene fare affari con i cinesi e aderire alla Via della Seta, ma non senza l’accordo di Europa e Stati Uniti. Ne è convinto Pier Ferdinando Casini, presidente dell’Unione interparlamentare, per il quale «prima siamo andati alla guerra con l’Europa sulla legge di bilancio, salvo poi cercare intese; dopo abbiamo insultato i francesi, andando però a Canossa per negoziare una soluzione sulla Tav; adesso siamo l’unico Paese in Europa che non ha riconosciuto Guaidò in Venezuela, e l’unico che firma un protocollo sulla One belt one road’ con la Cina. Ci viene detto che questo non cambia la collocazione atlantica dell’Italia L’importante è capire che nella politica internazionale a ogni azione corrisponde una reazione».

E quale sarebbe?
«Non meravigliamoci se qualche nostra grande azienda non chiuderà qualche contratto con gli americani. Grandi gruppi come Leonardo e Eni, in un sistema consolidato di alleanze, hanno ogni giorno concertazioni o affari con gli Usa. Questo salto in avanti dell’Italia sulla Via della Seta è un vorrei ma non posso’ rispetto a tedeschi e francesi, che i loro interessi commerciali li fanno tranquillamente, con i cinesi, senza compromettersi in una firma così impegnativa. Alla fine scontenteremo pure i cinesi, perché adesso si cerca di ridimensionare il tutto».

Siamo in grave ritardo su tedeschi e francesi con la Cina, e dovremmo frenare?
«Noi dovremmo essere al fianco di Francia e Germania per l’Europa, che è l’unica costruzione in grado di garantire i nostri interessi nel mondo. Se procediamo in ordine sparso diventiamo irrilevanti. Ha ragione Prodi a chiederci di esporre la bandiera europea il 21 marzo. Ma il Parlamento, oltre alla bandiera, deve mettere la politica. E prima di qualsiasi firma, il ministro degli Esteri deve venirci a spiegare in Parlamento che cosa si sta per firmare».

Francia e Germania gli affari con la Cina li fanno da quel dì
«Per recuperare il tempo perduto si lavori nel concreto dell’economia e dei rapporti bilaterali, senza sottoscrivere questa Opa amichevole’ della Cina sul mondo, fuori dal contesto europeo». [Continua a leggere]

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Venezuela: Siamo con Guaidò e chiediamo al Governo di riconoscerlo

postato il 12 Febbraio 2019

Il mio intervento nell’Aula del Senato a seguito delle comunicazioni del Ministro degli esteri sulla situazione in Venezuela


Il Ministro Moavero ha posto quattro punti all’attenzione del Parlamento: emergenza umanitaria; condanna delle violenze; elezioni presidenziali; garanzie per i nostri connazionali. C’è innanzitutto il tema dell’emergenza umanitaria (forniture essenziali, assistenza ai profughi e tutto il resto). Siamo d’accordo, Ministro, ma questo non è un tema nuovo, l’emergenza c’è da mesi. In effetti, come potrebbe infatti considerarsi diversamente il fatto che in un Paese tre, quattro milioni di profughi sono costretti a scappare a piedi? Come dovremmo definire la situazione che ha portato il 90% dei bambini a non andare a scuola e a frugare nella spazzatura? Ministro, lei ha ragione: c’è un’emergenza umanitaria, ma non si tratta di nulla di nuovo rispetto alla situazione di cui un anno e mezzo fa, già nella scorsa legislatura, il Parlamento aveva parlato. Non c’è dunque niente di nuovo in quello che sta capitando oggi. C’è solo il fatto che il mondo ha aperto gli occhi, tutto il mondo salvo noi, che siamo il Paese che ha fornito tradizionalmente al Venezuela il maggior numero di connazionali.

Il secondo punto riguarda la condanna alla violenza e alla repressione dei diritti umani. Ministro, ma lei non può fare la parte di Alice nel paese delle meraviglie. Noi abbiamo avuto centinaia di prigionieri politici, ma quando la Chiesa ha fatto la mediazione poi se ne è ritirata, perché il primo punto che ha posto è stato quello dell’afflusso del materiale per i diseredati venezuelani e per i profughi, perché ha chiesto la liberazione dei prigionieri politici e un processo elettorale credibile. È stato risposto di no su tutta la linea da Maduro e, addirittura, la Chiesa si è ritirata dalla mediazione.
Oggi parliamo di condanna della violenza e della repressione, ma non si può fare un discorso così generico. La condanna della violenza e della repressione ha un nome e cognome: la condanna del regime di Maduro che è fortemente connesso al narcotraffico, che oggi ha spostato le sue rotte tradizionali. Dalla Colombia oggi passa tutto dal Venezuela. Il traffico internazionale della droga passa da lì! Apriamo gli occhi, se non altro per contrastarlo meglio!

Andiamo oltre. Voglio dirlo ai colleghi del MoVimento 5 Stelle: so che è una loro posizione tradizionale ma, dato che essi dicono che in questa vicenda non si accettano le interferenze estere, io dico loro quanto segue. L’interferenza estera più grande che c’è in Venezuela è l’esercito venezuelano controllato dagli osservatori cubani. Infatti, cubani in permanenza ai vertici dell’esercito oggi rappresentano la garanzia che l’esercito non molli Maduro, perché i gradi medi e bassi dell’esercito già si sono rifiutati di sparare sulla popolazione.
Vorrei farvi notare una cosa: per la prima volta, nell’ultima manifestazione, non vi sono stati morti. E perché questo è capitato oggi e non è capitato nelle manifestazioni degli anni scorsi e dei mesi scorsi? Perché l’esercito ha paura; perché comincia ad avere paura di continuare a perpetrare gli omicidi di massa che ha perpetrato in questi anni; perché c’è un controllo degli osservatori internazionali; perché si sono accesi i fari.
Quando, qualche mese, fa c’è stato l’insediamento di Maduro, nessun ambasciatore europeo vi è andato, neanche quello italiano. L’Italia non si dissociò allora da questa posizione internazionale, che ci viene presentata come se fosse qualcosa di nuovo, mentre è qualcosa di acclarato e anche di sottoscritto dall’Italia.
Lei Ministro dice che l’Assemblea parlamentare è legittimata. Grazie, lo sappiamo anche noi. È l’unico organismo legittimato, ma ci siamo dimenticati di dire che parte dei suoi membri sono stati incarcerati, che i deputati venezuelani non ricevono gli stipendi, che hanno chiuso la possibilità di accesso al Parlamento e che la Corte costituzionale nelle mani di Maduro ne ha dichiarato l’illegittimità. Per cui, anche qui noi scopriamo l’acqua calda sempre in ritardo.

Infine, vi è l’aspetto più grottesco, signor Ministro: garanzie per i nostri connazionali e operatività delle aziende italiane. Scusate, ma andate a chiedere ad Astaldi, andate a chiedere a Ghella, andate a chiedere a Salini, andate a chiedere agli operatori italiani. Alcune di queste aziende italiane sono in crisi, come leggiamo su tutti i giornali, perché devono ricevere tra i 300 e i 400 milioni di crediti dal Venezuela. Noi oggi parliamo di garanzie per le aziende italiane, ma queste garanzie noi ce le siamo sognate negli ultimi dieci anni e oggi, qui, non so cosa si possa fare. Oggi, forse, Maduro, anche se volesse, non potrebbe pagare le aziende italiane.
Oggi parliamo di un fatto concernete l’Italia, e lo dico mandando un abbraccio ideale a coloro che ci ascoltano in questo momento, che sono i nostri connazionali in Venezuela, che trepidano e si vergognano poi la posizione italiana, quando invece vorrebbero che l’Italia fosse in prima fila.
Stiamo parlando del fatto che siamo l’unico Paese europeo significativo ad assumere questa posizione Sembra che addirittura l’Italia abbia messo il veto sul riconoscimento di Guaidó da parte dell’Unione europea.
La festa è finita. Questo dibattito è chiaro. Una serie di cose, acclarate e risapute, ci sono state presentate come se si fossero prodotte per incidenti della storia e non per la volontà di un regime che oggi è narcotrafficante. Aspettiamo di vedere che cosa succede, auspicando che non accada niente di grave, che non ci siano morti e si possa arrivare con un cordone umanitario. Ma quale cordone umanitario, ministro Moavero, quando Maduro ha già chiuso le strade di accesso? Il cordone umanitario non può arrivare dal cielo.
Con questo regime non ci possono essere il dialogo (perché sarebbe un’ipocrisia e una finzione), né l’aiuto umanitario (che può essere ricevuto solo a danno del Governo). Il Governo non accetterà mai che l’aiuto umanitario arrivi. Noi ci laviamo allora la coscienza, dicendo che auspichiamo che tutte queste brutte cose non accadano. Purtroppo, invece, stanno capitando.

Mi sarei augurato che il Governo italiano non facesse un’equazione tra la dittatura e la democrazia, come quando, negli anni Settanta, durante la lotta tra lo Stato e le Brigate rosse, si diceva: «Né con lo Stato, né con le Brigate rosse». Allora grandi forze popolari rifiutarono quest’equazione, che oggi rifacciamo per il Venezuela: noi non siamo né con Maduro, né con Guaidó.
Onorevole Ministro, noi siamo con Guaidó e chiediamo alla maggioranza e al Governo di riconoscerlo. Siamo con il Parlamento venezuelano, a cui idealmente ci congiungiamo in un abbraccio leale. Domani audiremo il Presidente della Commissione esteri dell’Assemblea nazionale del Venezuela. Questi sono donne e uomini coraggiosi, che stanno combattendo per dei principi che ormai sembrano da noi dimenticati: libertà e democrazia. Viva il Venezuela!

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«Il premier dica no al regime di Maduro. Questo non è chavismo, è narcotraffico»

postato il 27 Gennaio 2019

L’intervista di Marco Ventura pubblicata sul Messaggero

Che cosa dovrebbe fare il premier Conte? «Se c’ è batta un colpo, dovrebbe chiamare Guaidò e esprimergli solidarietà. Sarebbe un gesto precedente al vero e proprio riconoscimento, ma sarebbe comunque un atto politico di rilievo. Il silenzio del governo italiano, invece, è deprimente». Si schiera senza se e senza ma contro Maduro il presidente dell’ Interparlamentare italiana Pier Ferdinando Casini, ultimo dei nostri politici a visitare un anno e mezzo fa il Venezuela. Al rientro, presentò una mozione in appoggio ai rivoltosi, approvata dal Parlamento col voto contrario dei 5 Stelle. «Tutti dovremmo unirci alla comunità dei Paesi liberi contro questo regime che è narcotrafficante».

Non le basta la presa di posizione di Salvini?
«Salvini non può salvarsi la coscienza semplicemente dicendo di essere contro Maduro. Lui è il vicepremier, non un parlamentare dell’ opposizione come me. Sono giorni che chiediamo al governo di riferire in Parlamento. Da Conte e dal ministro Moavero abbiamo ascoltato banalità assolute, mentre sempre più forte è la protesta dei nostri connazionali in Venezuela che ci chiedono se siamo pazzi a essere gli ultimi in Europa a non schierarci contro Maduro, solo perché i 5 Stelle hanno avuto palesi accondiscendenze nei suoi confronti. Non si può continuare a sostenere assurde posizioni ideologiche, dobbiamo stare dalla parte dei Paesi liberi». [Continua a leggere]

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I 5 Stelle difendono il regime in Venezuela

postato il 25 Gennaio 2019

«Posizione ridicola. il governo esprima solidarietà ai venezuelani oppressi»

L’intervista di Ettore Maria Colombo pubblicata su QN

«L’Italia deve dire al più presto la sua. Dobbiamo stare con l’unica autorità legittima, il Parlamento del Venezuela». Parla Pier Ferdinando Casini (nella foto), senatore del gruppo Autonomie e Presidente dell’Interparlamentare italiana, organismo bicamerale che aderisce all’Organizzazione mondiale dei Parlamenti (IPU-UIP).
Casini, con chi bisogna stare, in Venezuela?
«Dobbiamo stare dalla parte dell’unica istituzione legittima e democratica del Venezuela che è il Parlamento. Altre soluzioni non sono possibili. L’unico usurpatore è Maduro, non certo Guaidò. Mi aspettavo che le autorità italiane facessero, come minimo, ciò che hanno fatto e detto i presidenti della Spagna, Sanchez, e della Francia, Macron. Bisogna esprimere una posizione solidale con le migliaia di venezuelani che manifestano per la libertà del loro popolo».
Di chi è la colpa di quanto accade?
«Non mi interessano le ricostruzioni e le analisi storiche. Bisogna esprimere subito e in ogni modo la vicinanza dell’Italia al Parlamento venezuelano e a un popolo, ridotto allo stremo, che per il 90% vive in stato di povertà».
La Cgil ha votato un documento di solidarietà a Maduro poi smentito…
«Sono totalmente contrario allo spirito di quel documento, ma prendo atto della smentita della Cgil. In ogni caso, il sentimento del Pd, che ha parlato al Senato, è ben diverso».
Le dichiarazioni pro-Maduro allignano anche nei 5Stelle?
«I 5Stelle stanno con Maduro contro ‘il complotto del grande capitale’. Mi chiedo se siamo su ‘Scherzi a parte’. Sono stato in Venezuela, anni fa, e ho visto bambini che rovistavano nell’immondizia pur di mangiare. Il Venezuela è un regime di narcotrafficanti, questa è la verità».

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Venezuela: Italia batta un colpo, Moavero scelga posizione Paesi liberi

postato il 24 Gennaio 2019

Governo stia a fianco Guaidó e Parlamento venezuelano

Signor Presidente,
anzitutto vorrei cominciare questo breve intervento mandando un pensiero affettuoso e sincero, spero rappresentativo di tutto il Parlamento, agli italiani che stanno in Venezuela e che in questo momento soffrono pesantemente le conseguenze di una situazione che si protrae da diversi anni.
Onorevoli colleghi, credo che tutti abbiamo assistito con apprensione a quello che sta capitando in Venezuela. Io vorrei dire una cosa in premessa. Sul Venezuela la politica italiana negli anni passati si è divisa pesantemente: del Venezuela abbiamo dato giudizi diversi; storicamente del chavismo sono stati dati giudizi diversi. Ma oggi non è il momento di riaprire la pagina delle discussioni storico-politiche. Oggi è il momento di guardare in faccia la realtà e di vedere come uno dei Paesi che negli anni Settanta erano tra i più ricchi del mondo, ai vertici di tutte le statistiche mondiali, oggi si è ridotto ad un Paese in cui un decimo della popolazione è scappata; il 90 per cento vive sotto i livelli di dignità; i bambini in gran parte non vanno più a scuola, ma li trovate accanto ai bidoni della spazzatura per cercare per le loro famiglie qualcosa da mangiare; il cibo è razionato; la produzione petrolifera è scesa da 3 milioni di barili a 900.000, e probabilmente nei prossimi mesi si arresterà, per la semplice ragione che non sono state adeguate le attrezzature in tutti questi anni, pertanto anche l’unica risorsa che il Paese ha si sta inaridendo.
Davanti a questa situazione, colleghi, voi sapete benissimo che negli anni scorsi sono intervenute autorità internazionali, dall’ONU all’Organizzazione degli Stati americani, dal Mercosur a quella che è la principale risorsa spirituale del Venezuela, ossia la Chiesa cattolica e la Conferenza episcopale. Non solo. Il Santo Padre, Papa Francesco, e il Vaticano sono intervenuti più volte per cercare anche di proporsi – poiché avevano il consenso di tutti, del regime e dell’opposizione – come elemento di dialogo politico.
Io ricordo ai colleghi – molti di voi sono arrivati un anno fa – che un anno e mezzo fa il Senato approvò a larghissima maggioranza una mozione e il Governo espresse parere favorevole su di essa. Vi faccio solo notare che, allora, il Ministro degli affari esteri venne in quest’Aula a ricordarci come i nostri connazionali volessero medicinali; alcuni nostri funzionari dell’ambasciata avevano avuto congiunti morti per malattie abbastanza banali e non c’erano medicinali. Ma davanti alla richiesta delle autorità italiane di fare arrivare i medicinali alla nostra comunità, il Ministro degli esteri venezuelano aveva detto al nostro Ministro degli esteri che in Venezuela le cose andavano bene; che dei medicinali non ce n’era bisogno; che se avessimo avuto bisogno di medicinali per i nostri connazionali, li avrebbero forniti loro; e che avremmo dovuto solo dare un elenco. [Continua a leggere]

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Libia: “Siamo stati ridicolizzati da Haftar e da quattro mesi a Tripoli non abbiamo l’ambasciatore”

postato il 30 Novembre 2018

Di Libia e soprattutto con i libici parlano troppi italiani…

L’intervista di Umberto De Giovannangeli pubblicata sull’Huffington Post

Il suo giudizio sulla Conferenza per la Libia di Palermo è tranchant: “L’abbiamo consegnata nelle mani di Haftar. Altro che un successo politico-diplomatico! Si è trattato di un passo indietro”. Reso ancor più evidente dal perdurare dell’assenza a Tripoli del nostro capo legazione, dopo che, il 10 agosto scorso, l’ambasciatore Giuseppe Perrone è stato richiamato a Roma per gravi motivi di sicurezza. “L’unico lato positivo è che dopo la mia sollecitazione e dopo diversi mesi, il ministro Moavero Milanesi convenga sull’urgenza della nomina di un nuovo ambasciatore”.

Ad affermarlo all’HuffPost è l’ex presidente della Camera, e senatore nell’attuale legislatura, Pier Ferdinando Casini. Di una cosa si dice certo. E questa certezza non è stata incrinata dalle considerazioni del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi né risolta da una vicenda, quella che riguarda il richiamo in patria dell’ambasciatore Perrone e l’assenza a Tripoli del massimo referente diplomatico, in una fase particolarmente calda, sul piano politico, nella quale l’Italia ha cercato, e continua a farlo, di affermare un suo ruolo primario sullo scenario libico. Il fatto è, rimarca Casini, ” che “di Libia e soprattutto con i libici, parlano troppi italiani…”. E di questo ne ha fatto le spese il nostro ambasciatore.

Per inquadrare un'”affaire” tutt’altro che risolto va ricordato che inizio agosto, l’ambasciatore aveva sottolineato, in un’intervista in arabo alla tv Libya’s Channel, l’importanza di “preparare bene le elezioni”, con una base “costituzionale chiara” e “condizioni di sicurezza adeguate”. Sostanzialmente, non entro la fine dell’anno, come prevedeva in un primo tempo il piano francese (successivamente l’inviato speciale Onu Ghassan Salamè ha definito una road map che sposta i termini al 2019). La soluzione di andare in tempi stretti alle urne era gradita anche dall’uomo forte della Cirenaica, il maresciallo Khalifa Haftar. Di qui le polemiche immediatamente successive alle dichiarazioni del diplomatico italiano, con bandiere tricolori date alle fiamme e altre dimostrazioni anti-italiane. A muoversi contro Perrone, almeno due istituzioni di Tobruk, nell’Est del Paese controllato da Haftar. La Commissione affari esteri della Camera libica aveva definito l’ambasciatore “persona non grata” e il ministero degli Esteri del “governo provvisorio” (non riconosciuto dall’Onu) lo aveva accusato di interferire negli affari libici. Uno strappo che la controversa presenza di Haftar alla Conferenza di Palermo del 12-13 novembre scorsi, non sembra, al di là di strette di mano e mezzi sorrisi, aver del tutto ricucito. [Continua a leggere]

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Libia: Question Time sull’Ambasciatore d’Italia a Tripoli

postato il 29 Novembre 2018

Rivolta al Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Moavero Milanesi

Signor Presidente, signor Ministro, come lei sa, siamo stati il primo Paese a riaprire l’ambasciata a Tripoli.

Questo va a onore dell’Italia e della nostra diplomazia.

Apro una parentesi e la chiudo: dal segretario generale all’ultimo funzionario, possiamo essere fieri dei nostri diplomatici, che, indipendentemente dai Governi che si susseguono, fanno un lavoro serio nell’interesse del Paese. Dobbiamo essere particolarmente grati a quanti operano in condizioni difficili, come in Venezuela o, nel caso dell’interrogazione, in Libia.

Si dà il caso, però, che dal 20 agosto, noi, che pure abbiamo intrapreso un’iniziativa a Palermo, due settimane fa, nella Conferenza sulla Libia, abbiamo una sede priva dell’ambasciatore, il quale ha fatto un’intervista e successivamente è stato invitato a rientrare (ma non si capisce in base a quali ragioni, veramente). Ieri ho esaminato i testi delle sue risposte in Commissione affari esteri e non si capisce bene se l’ha fatto di sua iniziativa, perché gliel’ha imposto la Farnesina o per interventi terzi; non si capisce. Resta il fatto che in quattro mesi abbiamo avuto a Tripoli l’ambasciata aperta senza ambasciatore – il che equivale a mandare una flotta in mare senza il capitano o il comandante – e tutta la preparazione della vicenda della Conferenza per la Libia ha visto assente uno dei suoi principali conoscitori e soprattutto nostro ambasciatore in Libia. È come se facessimo una Conferenza su un altro Paese senza il nostro ambasciatore, che dovrebbe essere il rappresentante dello Stato in Libia (o meglio, lo è).

Le ragioni aspetto che ce le spieghi con chiarezza, perché forse sono io che non le ho capite, ma non sono chiare; infatti, se controllo nei Resoconti quanto è stato detto in Commissione affari esteri, trovo cose anche diverse. Vorrei dunque che si definisse con chiarezza la ragione per cui l’ambasciatore è qui. Se non può rientrare, nominatene un altro e destinate questa persona – che, peraltro, è un profondo conoscitore del mondo arabo – a fare qualche cos’altro; se il nostro ambasciatore deve stare in Italia a fare non si capisce cosa, perché sembra non abbia partecipato neanche agli incontri preliminari sulla Conferenza per la Libia, non si comprende quali siano l’atteggiamento del Governo e l’utilizzo di questi diplomatici.

MOAVERO MILANESIministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Signor Presidente, risponderò in ordine alle domande del senatore interrogante. L’ambasciatore d’Italia in Libia, Giuseppe Perrone, non ha partecipato alla Conferenza di Palermo; tuttavia, è del tutto evidente che le analisi da lui svolte nel corso del suo lavoro hanno fornito un contributo importante per la preparazione di tale Conferenza, anche se non ha partecipato ai lavori veri e propri.

Vorrei anche chiarire che l’ambasciatore Perrone è stato fatto rientrare in Italia, a Roma, il 10 agosto e da allora non ha fatto ritorno in Libia. La decisione, presa d’intesa con l’ambasciatore stesso, si giustifica con i gravissimi rischi per la sicurezza della sua persona, nei quali sono sfociati i malintesi creati dall’intervista, che sono stati segnalati dalle autorità libiche e confermati dalle competenti autorità di sicurezza italiane. Su questo punto ho avuto modo di riferire anche in Aula e mi duole se non sono stato sufficientemente bravo ad esprimermi con chiarezza, ma spero di essere chiaro in quest’occasione.

Il Governo intende assicurare la presenza del capo missione a Tripoli nei tempi più rapidi e segnala che l’attività dell’ambasciata non è mai stata sospesa, ma è continuata anche nelle situazioni difficili che si sono verificate. Consideriamo la questione della presenza di un capo missione come urgente, non più differibile e da risolvere nei tempi più rapidi. Il Governo sta già facendo tutte le opportune valutazioni al fine di assumere quanto prima questa decisione.

CASINI .Signor Presidente, signor Ministro, il bicchiere può essere mezzo vuoto o mezzo pieno. Dato che io sono un uomo delle istituzioni, voglio far finta che sia mezzo pieno. La ringrazio del fatto che lei, dopo cinque mesi, conviene con me sul fatto che sia indifferibile la nomina di un altro ambasciatore, visto che non c’è l’agibilità per questo in Libia. A questo punto aspetto la nomina e sicuramente, conoscendola e stimandola, so che sarà una nomina all’altezza della situazione.

Solo alla fine, per quel po’ di polemica che un pochino ciascuno di noi mette, osservo che non so se quanto accaduto era dovuto alla sicurezza dell’ambasciatore o al fatto che autorità anche italiane operanti in Libia hanno idee diverse rispetto alla valutazione che l’ambasciatore faceva in ordine alla situazione libica. Parlano tutti di Libia: le autorità di sicurezza, i Servizi, il Ministero degli esteri. C’è molta confusione e duplicazione di competenza. Io credo che i Servizi che agiscono in Libia, ieri, oggi e domani (è un problema generico), debbano trovare sintonia con le rappresentanze diplomatiche. Non possono fare le cose alle spalle. Sono tenuti sicuramente alla riservatezza, ci mancherebbe altro; se i Servizi di sicurezza non fossero riservati, non sarebbero tali. Però il rapporto con la Farnesina è essenziale. Noi siamo convinti che l’ambasciatore sia entrato in un meccanismo più grande di lui, per cui alla fine abbiamo sacrificato l’ambasciatore. Benissimo, adesso comunque nominiamone un altro e guardiamo avanti, non guardiamo più indietro; stendiamo un velo sul passato. Come lei ha detto – e io sono d’accordo con lei – bisogna rapidamente provvedere all’indicazione di un altro ambasciatore.

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Libia:il vertice italiano un flop. Prevalsa la linea di Egitto e Francia, l’Europa esce sconfitta

postato il 16 Novembre 2018

L’intervista di Antonella Coppari pubblicata su Quotidiano Nazionale

«Di mancanza di professionalità politica si muore. Conte avrebbe dovuto evitare di imbastire la Conferenza sulla Libia, poiché non c’erano i presupposti: in questo modo avrebbe evitato un fallimento annunciato».
L’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, che in tema di politica estera ha esperienza da vendere, è categorico: «Non ho nulla contro le conferenze internazionali, ma non bisogna organizzarle in modo velleitario perché invece di risolvere, peggiorano le cose».
Perché il summit di Palermo avrebbe peggiorato il quadro?
«Basta vedere quello che è successo mercoledì a Tripoli con il riesplodere della guerriglia urbana: purtroppo, l’Italia ha sbagliato completamente linea. Per far venire Haftar ha determinato l’irritazione di tutta l’area islamica che agisce su Tripoli, sostenuta dal Qatar e dalla Turchia, un’area per noi fondamentale. E così ora, coloro con cui tradizionalmente dialogavamo sono insoddisfatti, mentre la linea che è sembrata prevalere a Palermo è stata quella della Francia e dell’Egitto».
Pure la conferenza organizzata dai francesi è stata un flop.
«Non è una giustificazione: li abbiamo criticati per questo».
Nello scacchiere libico ci sono almeno tre attori europei: Francia, Italia e Inghilterra. E’ possibile che l’Unione non faccia sentire la sua voce?
«Questa è la grande sconfitta dell’Europa. Un soggetto che è assolutamente incapace di incidere una svolta a livello politico perché non ha una politica estera comune. Un dato di fatto che il dossier della Libia ha evidenziato drammaticamente negli anni».
Quanto pesa la competizione internazionale sulla crisi libica?
«Nella vicenda libica la competizione internazionale ha inciso fin dall’inizio, a partire dall’intervento sbagliato proposto da Sarkozy e dagli inglesi contro Gheddafi. Devo riconoscere che, per quanto riguarda i nostri interessi economici, l’Eni in Libia ha tenuto benissimo, non ha sentito la concorrenza della francese Total».
Si può risolvere la situazione senza mettere attorno a un tavolo non solo i libici ma anche le potenze coinvolte?
«Va bene il dialogo politico ma io sostengo che se gli Stati Uniti e la Russia non riuniscono attorno alla Libia gli attori principali, che sono Turchia, Egitto, Italia, Francia e gli Stati del golfo non si produrrà nulla perché questo è terreno di una guerra per procura».
Ha qualche chance di riuscire la mediazione dell’inviato dell’Onu, Salamé?
«Sembra un pochino più efficace di quelle del passato».
La scadenza delle elezioni a giugno in Libia sarà rispettata?
«Non sono in grado di dirlo. Le elezioni ci devono essere quando è garantito un percorso di sicurezza e di tranquillità nel paese. Se il governo legittimo non è in grado di garantirlo nemmeno nelle strade di Tripoli, di cosa si parla?».
Per governare il fenomeno migratorio Minniti prima e Salvini poi hanno puntato sugli accordi con la Libia: ha senso dato che non esiste uno stato libico?
«Da ministro dell’Interno farei le stesse cose, però è chiaro che più la Libia è divisa in fazioni, più è impossibile controllare il fenomeno».

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Libia: A Palermo soltanto una cerimonia, gli Usa faranno il minimo

postato il 12 Novembre 2018

L’intervista di Fabrizio Caccia pubblicata sul Corriere della Sera

«Io non so se è vero o no che il premier Conte sia volato da Haftar a Bengasi», dice il senatore Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera e oggi docente di Geopolitica del Mediterraneo alla Lumsa di Roma.

Palazzo Chigi ieri ha smentito.

«Fosse vero sarebbe penoso, vorrebbe dire che siamo ridotti al punto che per tenere in piedi un simulacro di conferenza, che non servirà a nulla, il nostro presidente del Consiglio deve correre da Haftar a chiedergli di partecipare».

Oggi a Palermo comincia la conferenza sulla Libia.

«Al massimo sarà una cerimonia. Perché il livello delle presenze è davvero basso. Gli Usa mandano appena un sottosegretario. Nel gergo diplomatico vuol dire fare il minimo indispensabile, piuttosto che darti un calcio in faccia. Ma forse pure lo è».

Allora cosa aspettarsi?

«Io mi auguro che alla fine Haftar venga, sarebbe un grande atto d’umiltà, anche se Palermo è solo un’ostentazione di velleitarismo. Di sicuro, occorrerà abbassare l’asticella delle aspettative. Alla conferenza, tra chi ci sarà, cerchiamo di creare almeno un dialogo sereno per indurre a un cammino elettorale».

Il futuro della Libia, però, resta un’incognita.

«L’unica soluzione è che Russia e Usa congiuntamente mostrino la volontà reale di coinvolgere gli attori principali: Egitto, Turchia e Unione Europea».

Per adesso comandano le milizie armate.

«La Libia anche con Gheddafi non è mai stata una realtà statuale. Il Colonnello la teneva insieme distribuendo i proventi del petrolio e del gas tra le tribù. Oggi servirebbe un altro capo riconosciuto da tutti, ma non c’è. Haftar è divisivo, Serraj troppo debole. Nessuno rimpiange Gheddafi, ma il problema è che oggi ci sono 50 capi che litigano tra loro».

E l’Italia?

«Ho grande stima del ministro degli Esteri, Moavero. Il problema è la nostra politica estera. Perché ci siamo vantati a lungo di essere rimasti i soli con l’ambasciata aperta a Tripoli e adesso ci ritroviamo con l’ambasciatore Giuseppe Perrone, il più esperto di cose libiche in assoluto, interdetto ad entrare? O forse siamo noi stessi che non lo facciamo più entrare? Sono cose che non capisco».

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Libia: condivisione su decreto motovedette, in continuità con governi precedenti

postato il 25 Luglio 2018

La politica si fa col cuore e con la mente

Cari colleghi, non è semplicissimo intervenire in questo dibattito perché naturalmente, come sempre capita quando si parla di temi così delicati e quando si parla di Libia, un conto è il voto che noi siamo chiamati a dare, un conto è l’analisi che siamo chiamati a fare, un conto sono le sensibilità diverse che attraversano il nostro Parlamento.
Allora partiamo dal primo punto: il Gruppo per le Autonomie voterà a favore di questo decreto-legge perché è in continuità con il lavoro dei governi precedenti e perché è giusto dotare di un equipaggiamento navale le forze di controllo costiero libico, perché è giusto, perché è giusto.
Poi, colleghi, facciamo un passo in avanti: la senatrice Bonino ci ha ricordato che non esiste la statualità libica. Purtroppo lo sapevamo tutti in quest’Aula che non esiste la statualità libica. Sappiamo addirittura che c’è un Governo, quello di Haftar, che con la collaborazione di statualità estere e anche europee ha lavorato in questi anni per arrivare ad una tripartizione della Libia nonostante la comunità internazionale abbia insediato un Governo che noi sempre abbiamo appoggiato, con Letta, con Renzi, con Gentiloni e oggi con il Governo Conte in uno spirito di continuità, perché era il Governo legittimato dall’ONU. Ma questo Governo controlla la Libia? Scusate, non siamo su “scherzi a parte”, lo sappiamo benissimo che questo Governo non controlla la Libia. Sappiamo benissimo che non la controllano neanche gli altri due governi. Sappiamo benissimo che ci sono dei soggetti tribali municipali che non a caso sono stati al centro del lavoro che nei mesi scorsi ha fatto il Governo Gentiloni con il ministro Minniti.
Abbiamo in Aula la senatrice Pinotti che è stata parte di quel lavoro che oggi, in continuità, viene ripreso dal Governo Conte.

Allora, scusate, un conto è il mondo che vorremmo vivere, un conto è il mondo che viviamo perché la politica estera non è un pranzo di gala e noi, purtroppo, dobbiamo fare i conti con quello che c’è non con quello che vorremmo che ci fosse. Ho sentito prima alcuni colleghi che hanno detto che chi arriva non ha i documenti. Scusate, ma volete che vadano a chiedere il certificato penale a Mogadiscio quando partono da realtà che sono devastate, prive di qualsiasi statualità?
[Continua a leggere]

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