Archivio per Dicembre 2011

E’ assurdo parlare di democrazia sospesa

postato il 21 Dicembre 2011

Il Capo dello Stato ha detto cose importanti ed ha richiamato la politica a sostenere la responsabilità assunta con la scelta del governo Monti. Parlare di democrazia sospesa è assurdo. Questo continuo dissociare le proprie responsabilità dal governo non e’ la strada. La strada e’ un patto alla luce del sole per sostenere per quindici mesi un governo che ha un mandato preciso: salvare l’Italia.
Io sono fiero di essere stato, col Terzo Polo, tra quelli che da tempo auspicavano una riappacificazione. Basta litigi e continue risse. Bisogna mettersi insieme e collaborare.

Pier Ferdinando

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40 anni di amore senza frontiere

postato il 21 Dicembre 2011

Sono passati 40 anni da quel 21 dicembre 1971, quando un gruppo di medici reduci dalla tragedia del Biafra (Nigeria) e un gruppo di giornalisti decisero di fondare Medici senza Frontiere, un’organizzazione umanitaria che  facesse dell’azione medica e della testimonianza i due pilastri della propria identità. Medici senza Frontiere può essere considerata un’organizzazione pionieristica nel campo della carità perché ha sempre testimoniato, facendosene dunque portatrice, principio fondamentale che tutte le vittime di un disastro, sia naturale sia di origini umane, hanno diritto a un’assistenza professionale, fornita con le maggiori celerità ed efficienza possibili. Ed è quel “tutte le vittime” che traduce alla perfezione e praticamente il “senza frontiere” dell’organizzazione: i Medici Senza Frontiere prestano infatti la loro opera di soccorso alle popolazioni povere, alle vittime delle catastrofi di origine naturale o umana, alle vittime della guerra, senza discriminazione alcuna, sia essa razziale, religiosa, filosofica o politica. A MSF va anche il merito di aver portato all’attenzione dell’opinione pubblica anche le catastrofi umanitarie più lontane e dimenticate con una sincera consapevolezza delle cause e di aver operato in contesti di guerra per mediare tra le parti opposte. Ma probabilmente il merito più grande di MSF è quello di aver testimoniato, con il soccorso coraggioso e disponibile fino al sacrificio, il rispetto per la dignità della persona, il valore di ogni singola vita umana e la speranza della pace e della riconciliazione. Non basterebbero altri 40 anni per ringraziare MSF per la sua opera umanitaria e per ricordarci che questa nostra umanità è capace di slanci d’amore straordinari, veramente “senza frontiere”.

Adriano Frinchi

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La differenza tra dittatura e democrazia

postato il 20 Dicembre 2011

 

 

 

 

 

di Adriano Frinchi

È morto il presidente della Corea del Nord, Kim Jong-Il. Kim aveva 69 anni e governava con pugno di ferro dal 1994. L’annuncio della dipartita del dittatore nordcoreano è stata data così dalla televisione di stato:

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La notizia della morte del “caro leader” ha gettato nello sconforto e nella disperazione i nordcoreani, secondo quanto documenta sempre la televisione di stato, che si sono cimentati in un incredibile pianto di massa:

The YouTube ID of ccsNr9UJeVY&feature=youtu.be is invalid.

I video del pianto di massa nordcoreano ha impressionato, e in alcuni casi suscitato l’ilarità, dei mass media occidentali che però dimenticano che in tempi non così remoti in Europa accadde qualcosa d’identico; penso ai funerali di Stalin in Russia o a quelli del dittatore albanese Enver Hoxha. Scene molto simili, se non uguali a quelle di Pyongyang.

Oggi quando cade un governo non amato cade ci sono scene ben differenti:

The YouTube ID of fN_A38k_o24&feature=youtu.be is invalid.

Queste immagini non sono proprio il massimo della maturità politica però, confrontate al pianto di massa per il dittatore comunista, ci  ricordano che abbiamo la fortuna di vivere in un paese democratico dove non si piange o si gioisce per decreto.

 

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Raddrizziamo le storture del mercato del lavoro: l’esempio della Spagna

postato il 20 Dicembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Mario Pezzati

Un paio di mesi fa ho parlato dell’esperienza spagnola nel campo della flessibilità lavorativa e sono ancora dell’idea che in Italia il mercato del lavoro è sufficientemente flessibile, ma che anzi bisogna intervenire per evitare che la flessibilità si trasformi in una morsa mortale per i lavoratori. Sono favorevole alle idee di Ichino, quando parla di maggiore libertà negoziale tra le aziende e i lavoratori (sul mondo sindacale, che a mio avviso necessita di una riforma, mi riservo di intervenire in un secondo momento), ma bisogna anche considerare che maggiore libertà nei licenziamenti non implica maggiore produttività, ma maggiori rischi per quegli italiani che si trovano nella fascia d’età tra i 35 e i 60 anni. Io non sono più un giovane; conosco molti miei coetanei che, come me, lavorano con contratti a progetto o finte partite iva o altri trucchetti. A questa generazione, chi ci pensa? Capisco che non facciamo notizia come “i giovani”, ma anche le persone “non più tanto giovani” dovrebbero avere delle tutele: all’estero anzi spesso sono i lavoratori più ricercati, proprio perché la loro esperienza li rende più produttivi.

Intendiamoci: chi non lavora deve essere licenziato, questo sia chiaro a tutti; ma non si può pensare di rivolgersi ai giovani e al precariato per tenere bassi i costi di una azienda: la soluzione è migliorare la produttività, non raschiare il fondo del barile. Proprio per questo motivo, nella mia proposta, credo che bisogna mettere dei paletti nella legislazione e nell’uso dei contratti a progetto e nelle altre forme di lavoro a tempo determinato: credo che tutti concordiamo sul fatto che se una azienda mantiene al lavoro una persona per, ipotizziamo, due anni, questa persona è formata e produttiva, quindi l’azienda dovrebbe passare ad una forma di contratto a tempo indeterminato.

La mia considerazione nasce anche dall’osservazione del mondo spagnolo, paese con un’alta disoccupazione (la media ufficiale della Spagna è di circa il 23% di disoccupati), alto ricorso ai contratti a tempo determinato (circa il 30% degli occupati spagnoli, lavorano con il nostro equivalente dei contratti a progetto), e che ha introdotto le stesse liberalizzazioni in tema di licenziamento, di cui si parla quando si vuole riformare l’articolo 18 senza ottenere effetti tangibili sul lato delle nuove assunzioni.

Le nuove assunzioni, l’aumento delle proposte di lavoro, nascono tutte se aumentano gli investimenti e si creano le condizioni ideali perché le aziende possano investire crando strutture produttive, e per fare ciò, a mio avviso, spingere sulla flessibilità “spinta” non è la soluzione ideale (come dimostra l’esempio della Spagna). Il contratto a tempo determinato deve servire per mettere alla prova il lavoratore o se l’azienda ha momentanee esigenze di aumentare la propria forza lavoro; ma se questo aumento deve essere strutturale, allora non si può ricorrere alle forme di precariato.

Sostanzialmente bisogna evitare che il contratto a progetto sia una forma di assunzione “mascherata”, e questo lo si ottiene con la trasformazione in indeterminato di un rapporto temporaneo quando si raggiunge una durata determinata, che è il presupposto per stabilire se l’azienda ha bisogno “strutturalmente” di un lavoratore.

A mio avviso, tale limite di tempo può fissarsi in 24 mesi cumulativi di lavoro nell’arco di complessivi 36 mesi: in tal modo, non basterà, per azzerare i conteggi dei mesi, che l’azienda tenga scoperto il posto di lavoro per uno o due mesi (come è accaduto fino ad ora).

Si tratta , in definitiva, di evitare la nota pratica consistente nel fatto che parte dei posti di lavoro di un’impresa siano permanentemente occupati da lavoratori precari , disponendo l’azienda di un organico fisso inferiore a quello necessario per affrontare la sua normale attività produttiva.

Questa norma sicuramente servirebbe a garantire e proteggere l’abuso da parte delle aziende dei contratti a tempo, inoltre è ovvio che il conto dei 24 mesi avviene anche se tra un contratto e l’altro vi è una interruzione breve (che potremmo quantificare in 3-6 mesi). In altre parole, al conteggio non si sfuggirebbe neanche se l’azienda tra i vari contratti mettesse delle interruzioni brevi.

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Riforma del lavoro, facciamo vincere i figli

postato il 19 Dicembre 2011

“Riceviamo e pubblichiamo” di Giuseppe Portonera

Ieri, il Ministro del Lavoro e del Welfare, Elsa Fornero, ha rilasciato una lunga intervista a Enrico Marro del Corriere della Sera, in cui ha rilanciato una delle priorità del governo Monti: la riforma del mercato del lavoro, da approntare da gennaio in poi, e che rappresenti il trait d’union con la riforma del sistema previdenziale, al fine di ridurre gli squilibri tra le nuove e le vecchie generazioni. La Fornero ha ricordato che «sono abbastanza anziana per ricordare quello che disse una volta il leader della Cgil, Luciano Lama: “Non voglio vincere contro mia figlia”. Noi, purtroppo, in un certo senso abbiamo vinto contro i nostri figli. Ora non voglio dire che ci sia una ricetta unica precostituita, ma anche che non ci sono totem e quindi invito i sindacati a fare discussioni intellettualmente oneste e aperte». Da parte nostra non abbiamo mai mancato di elogiare quello che consideriamo un tratto caratterizzante delle proposte del Ministro e cioè il volgere lo sguardo al futuro, il voler riformare non per aggiustare momentaneamente una brutta situazione, ma per disegnare scenari completamente nuovi e sicuramente più sostenibili. Per farlo, quindi, è necessario mettere da parte ogni preconcetto e superare ogni pregiudizio: non si può pensare di affrontare con serietà un tema del genere, se le varie parti in causa cominciano ad erigere totem o barriere varie. L’articolo 18, per dire, che rappresenta una tutela importante per le azienda con oltre 15 dipendenti, è ormai largamente insufficiente per rispondere all’esigenze del momento e non si può pensare, quindi, di agitarlo come discrimine per ogni tipo di riforma (del resto, come ha anche ricordato Casini, “è inaccettabile che la messa in discussione di quest’articolo, che è perfettibile, sia di per sé motivo di scontro”).

Sempre nell’intervista di ieri, il Ministro Fornero ha confermato il proprio personale orientamento al sostegno del cosiddetto “pacchetto Ichino” (o a quello “Boeri-Garibaldi”), a quelle proposte – cioè – elaborate dal giuslavorista Pietro Ichino, senatore democratico, ispirate alla flexsecurity danese, che fino a poco tempo fa erano rimaste confinate in una specie di ghettizzazione forzata all’interno del PD, ma che adesso hanno trovato molti sostenitori (in primis proprio noi del Terzo Polo, in discussione alla Camera c’è una proposta targata Dalla Vedova-Raisi molto interessante) e una posizione centrale nella piattaforma programmatica del Governo. In sostanza, una riforma che va in questa direzione dovrebbe riuscire a fermare la polverizzazione dei contratti, ad introdurre un contratto unico (con maggiore flessibilità, non solo in uscita ma anche in entrata) e un sistema universale di unemployment benefit e aprire a politiche attive maggiormente efficaci. Il tutto per cercare di superare il vero vulnus del nostro mercato occupazionale, che non consiste tanto nella contrapposizione tra chi lavora e chi no, ma tra i garantiti e i non garantiti, tra chi ormai è fin troppo tutelato e chi invece è totalmente privo di paracadute in caso di disoccupazione. La flexsecurity non potrà certo essere la soluzione a tutti i mali, ma – come dimostra uno studio del Ceps – rappresenterebbe un’occasione di incremento dell’occupazione, di cui beneficerebbero in misura maggiore giovani, donne e lavoratori maturi: secondo queste stime, un aumento del 10% dell’indicatore di flexsecurity in Europa, garantirebbe un incremento medio stimato del 3% del tasso di occupazione giovanile, del 2,5% di quello femminile e del 2% di quello dei lavoratori anziani (al top del ranking europeo c’è la Danimarca, mentre gli ultimi due posti sono occupati, guarda caso, da Italia e Grecia). Una riforma in tal senso, che si applicherebbe solo ai rapporti lavorativi che si costituiranno solo d’ora in avanti, garantirebbe a tutti i nuovi lavoratori contratti a tempo indeterminato, con tutte le protezioni essenziali, ma senza l’inamovibilità; e a chi perde il posto di lavoro, un robusto sostegno economico e investimento sulla sua professionalità, in funzione della rioccupazione più rapida possibile.

Ecco, in sostanza, il perché del nostro sostegno al progetto della flexsecurity. Perché siamo stanchi di avere lavoratori di serie A e lavoratori di serie B e perché – al contrario, evidentemente, di altri – non possiamo sopportare l’idea di veder vincere le ragioni del passato su quelle del presente (e del futuro).

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Lavoro: riforma non lesa maestà, ma moderare i toni

postato il 19 Dicembre 2011

No a scontri ideologici su articolo 18

Non vogliamo scontri ideologici sull’articolo 18, ma neanche che sia un totem per cui la messa in discussione diventi lesa maestà. Certo, le medicine amare sono indispensabili ma a volte, come in questo caso, un po’ di zucchero che le addolcisca non fa male.
L’onestà intellettuale del ministro Fornero è fuori discussione e non condivido le parole indirizzatele dalla Camusso. Non credo che questo governo sia contro i lavoratori o arrogante con essi, è un governo che usa un linguaggio di verità, scomodo e difficile da accettare. Certo, bisogna superare le impostazioni del passato e questo non è facile.
Le forze sindacali, anche quelle più vicine a noi, hanno tutta la nostra considerazione e fanno ognuna il proprio mestiere, l’importante e’ che lo facciano alla luce del sole: l’Italia si può salvare solo se le forze sociali concorrono ad individuare l’uscita dalla crisi.

Pier Ferdinando

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Giustizia, agenda scarna ma chiara per riforme condivise

postato il 19 Dicembre 2011

Finita l’epoca della guerra di religione sul fronte della giustizia serve un’agenda scarna ma chiara per riforme condivise, in modo da rendere accettabile il funzionamento del sistema. Incontreremo altri operatori di settore e cercheremo un’intesa non per la riforma epocale, ma per porci realisticamente obiettivi minimalisti ma concreti.

Pier Ferdinando

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Havel, il sorriso della democrazia

postato il 19 Dicembre 2011

 

“Riceviamo e pubblichiamo” di Adriano Frinchi

In rete e sui giornali ci sono tantissimi ritratti di Vaclav Havel, tutti straordinariamente belli, non solo per merito delle penne che li hanno firmati ma forse perché è proprio la figura del primo presidente della Cecoslovacchia libera ad essere straordinariamente bella. Di Havel ci sarebbe tanto da dire, ma forse è sufficiente tornare un attimo al suo sorriso; è tutto lì l’uomo Havel ed anche il politico nel suo sorriso placido, nella sua calma e nella sua ironia. Havel ci ha insegnato che un sorriso può vincere un cupo regime, che la cultura è più forte dei carri armati e che i personaggi del teatro sono sempre meglio di certi tristi attori della storia. Quella di Havel è una lezione di libertà e democrazia che l’Europa non deve dimenticare e che può e deve necessariamente insegnare a chi nel mondo patisce ancora sotto una dittatura.

Dobrý cestovní, mr. Havel.

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